UN SORSO DI BIRRA PER LE VERDI BRUGHIERE
Ilaria Roncarati III F
“ Ultima
chiamata per il passeggero Rinaldi sul volo 7052, in partenza tra 10
minuti per Francoforte”,
furono queste le prime parole che sentii in aeroporto il 14 Luglio
scorso e pensai: “
come può una persona riuscire a perdere un aereo?? E’ una di
quelle cose che non concepisco…” Questi
ed altri pensieri si affollavano nelle mia mente in quel momento.
“ Avvisiamo
i gentili passeggeri che tra poco inizieranno le manovre di
atterraggio per l’aeroporto di Dublino, il tempo è bello e la
temperatura esterna è di 15 gradi. ”
Guardai fuori dal finestrino e vidi solo una spessa coltre di nubi
grigiastre. Ripensai subito alle parole del comandante e mi chiesi
dove vedesse il cielo sereno. Solo dopo una settimana in Irlanda
avrei capito che il loro “ bel tempo” significava semplicemente
che quel giorno non sarebbe piovuto.
Ero
felice di rivedere l’Irlanda, le centinaia di pecore con le zampe
nere, le immense distese di prati verdi, di una tonalità di verde
che esiste solo lì, e che, mio malgrado, non ho ritrovato altrove.
Molti di voi, probabilmente, pensando all’Irlanda, pensano subito
alla Guinness; io ero invece attratta dai ricordi di una natura
autentica. La famosa birra scurissima, al primo assaggio, qualche
anno fa, non mi aveva incantata, tuttavia in quelle due settimane
ebbi decisamente il tempo di ricredermi.
Le
mattinate trascorrevano a scuola in modo molto piatto, senza nulla di
strabiliante, ma la vera giornata iniziava alle 16.30, con la corsa a
prendere l’autobus numero 63 che portava nella cittadina vicina, o
il 4, che portava a Dublino in soli 30 minuti, oppure, una volta
persi entrambi, con lo scegliere se andare a piedi nella cittadina
vicina oppure andare sulla costa. Passati i primi cinque giorni
depredando i negozi cittadini e dopo aver riempito fino alla
saturazione la valigia, decisi di andare sulla costa, che scoprii
distante da casa mia solo 5 minuti di passeggiata. Così un
pomeriggio mi incamminai giù per l’Alma Road e in fondo alla
strada girai a destra, fino ad un cartello con una freccia che
riportava la scritta “Sea Point Beach”. Attraversai la strada e
scesi; poco dopo mi ritrovai di fronte una massiccia torre in pietra
vista. In quel punto la strada si divideva in due viottoli, presi
quello di sinistra e mi ritrovai in una piccola terrazza sul mare. Mi
sedetti sul bordo roccioso e per alcuni minuti stetti lì a fissare
l’acqua grigia dell’oceano.
Mentre
ero persa nella contemplazione, alcune risate infantili attirarono la
mia attenzione, mi voltai e con mio infinito stupore notai che le
voci provenivano da bambini che stavano facendo il bagno. Sorrisi e
guardai il mio abbigliamento, una felpa pesante e sopra un
impermeabile; gettato uno sguardo al cielo plumbeo sopra di me, li
guardai nuovamente: erano solo in costume da bagno. Decisi di
bagnarmi i piedi, pensando che, se dei bambini facevano il bagno, i
miei piedi avrebbero potuto resistere 5 minuti. Scesi sulla banchina
che, in quella spiaggia, si trovava al posto del bagnasciuga, mi
levai scarpe e calzini, mi tirai su i pantaloni e posai i piedi sulla
sabbia, mi fermai, aspettai l’onda e, quando arrivò, provai una
sensazione simile a quella di una doccia ghiacciata: rimasi immobile
a fissarmi i piedi, gli occhi sbarrati, poi ritornai dalle mie scarpe
prima che un’altra onda mi raggiungesse. Mi sedetti sulla banchina
a leggere Hemingway, finché non si fece ora di andare verso casa.
Un
altro momento, che aspettavo con impazienza, era la sera, quando si
poteva optare se andare a Dublino o in qualche pub della zona; ma le
serate migliori erano decisamente quelle che si trascorrevano in
gruppo in spiaggia, con alcune lattine di Guinness in mano, seduti a
fissare il lento salire della bassa marea, tra chiacchiere, molte
risate e in sottofondo lo sferragliare di qualche treno.
Nessun commento:
Posta un commento