SULLA MIA PELLE
Fruscio di ricordi
Laura Tramuto
Formicolio.
Vita liquida scorre fra le dita e
le impregna di un odore acre e penetrante. Getto uno sguardo poco attento verso
il basso, alle mie mani: tutto ciò che vedo è pelle che si bagna e si asciuga al
vento secco, pezzi di ossa raccattati sulla spiaggia, dispersi sotto carne
viva.
Qui in riva al mare, fra suoni e
frastuoni di onde che sbattono violentemente sulla battigia, c’è solo umidità,
o meglio, questo è ciò che si avverte concretamente. E se guardo nel vento
riconosco e distinguo sottilmente stracci di fotografie lacerate dal tempo,
tempo fissato in qualche pixel.
Ma, d’altronde, l’orologio della
coscienza e dei ricordi più intimi non ha i minuti scanditi da un tormentoso
tic-tac, ha giusto un infinito racchiuso in attimi finiti e risolti. E, dentro
a questi, mille parole, mille occhi, mille pensieri, mille gesti.
Mi sembra quasi facile e poco
sofferto il ricordo ben consapevole degli anni passati; per quanto sfugga alla
mia memoria l’insieme, ho ben fissi nella mente i particolari.
Rimembranza.
Tutto nacque un po’ di tempo fa,
quando la malinconia di un po’ di felicità che uno strano disequilibrio mi
trasmetteva, riconobbe il momento giusto per esplodere. Il retrogusto
amarognolo di un giugno sereno si fece sentire in modo intenso e mi segnò al
momento dell’allontanamento. Una fresca estate era alle porte, la scuola era
finita da qualche giorno, gli occhi scintillavano di luce nuova, ma in fondo
alla pupilla uno scuro ed intenso bagliore giunse quasi al lacrimare. Così, mi
fermai a pensare ai giorni senza di loro, senza i compagni d’avventura che
avevo avuto al mio fianco per cinque lunghi anni, ai giorni che mi attendevano,
interminabili: tanti altri amici, tanta altra gente, ma non le persone con cui
avevo condiviso ogni attimo, ogni istante, ogni singolo momento della mia vita.
Prati colorati alla luce di tante
risate, all’ombra di mille sospiri, di pianti e in profonda sintonia con le panpsichiste
emozioni che muovevano in noi l’abbandono dell’orgoglio e il progressivo
aprirsi alla rinascita. Quel flemmatico atteggiamento stabile che ci era
appartenuto per tanto tempo necessitava di una forte reazione, innescata da una
sincera comprensione. Così noi, ascoltatrici di emozioni e portatrici di segreti,
in cerchio ci sedemmo e prendemmo in considerazione la nostra vita. Per la
prima volta, la svolta e la crescita, sollecitate dalle complici esperienze,
nel prendere il sopravvento dispiegarono le ali verso un dolce planare fra
ricordi passati e aspettative future, accompagnate da un sincero sostegno
amichevole.
Noi, piccole donne che crescevano
ogni giorno di più e ogni notte di meno, fra dubbi e incertezze che corrompono
la stimabile fragilità di un’adolescente.
Noi, così unite e così diverse,
eneantiodromicamente complementari, semenza ricca di sensazioni ed emozioni
potenzialmente strabilianti.
Mi avvicinai e dissi: “Devo
confessarvi il segreto della mia vita”.
Ed un sorriso, un riso leggero sfiorò
loro le labbra; pronte dissero: “Eccoci”. E da lì, mille discorsi, consigli e
avvertenze.
Ritrovata la vera essenza
dell’amicizia, rilevata l’assenza di incomprensioni e il totale disinteresse,
fu un piacere dire “Vi voglio bene, amiche mie”.
Notturna.
Lo ricordo come fosse ieri, era
appena finito l’esame di maturità e un futuro tanto incerto, quanto palpitante,
ci attendeva, futuro che ora è presente e, fra un attimo, già passato.
Scrivo di notte perché si colgono
le sfumature della luce dei lampioni per le strade di qualche borgo di
periferia. E poi si sente il profumo dell’aria fresca e qualche rumore
distante, ma acuto e limpido.
Com’è lucido il mio pianoforte a
coda, ha sopra solo qualche goccia di vino rosso, caduta per sbaglio dal
bicchiere di vetro. Sol# è il mio accordo preferito, ha un non so che di
assolutamente e profondamente sonoro e vibrante.
Mi specchio intrepidamente sulla
vernice nera del piano e in mezzo alle piccole rughe rivedo i volti degli amici
di una volta, mi sembra quasi di distinguere i tratti fisionomici di Francesca.
Sai, non ricordo quanti anni hai,
chissà quanti ne avrai adesso, avrai gli anni di allora probabilmente, perché,
se ci incontrassimo, diremmo che non è passato un istante fra di noi.
È stata una serata piacevole,
questa in compagnia di vecchie conoscenze che si sono divertite a raccontarmi
la vita agiata, sebbene semplice e sobria, che si conduce qui, a Bologna, la
lieta e gaia cittadina del liceo. La mia vita, invece, non so dove sia, né dove
risieda con precisione. Fra New York e Mosca ci sarà al mondo un po’ di spazio
anche per me, per i miei studi, per le mie idee. Proprio queste, poi, le vado
seminando in giro per il pianeta come fossero semi da lasciar crescere e
maturare con la fiducia che prima o poi germoglieranno.
Dicono che sia sorte o destino,
ma, fortunatamente, io non credo alla fortuna e, infatti, so che le compagne
d’avventura che non ho rivisto questa sera saranno in giro per il mondo come
me, fra una capitale e una metropoli, a domandare perché il mondo vada così e a
cercare una risposta al nostro domani.
Noi, Baccanti sperdute.
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