martedì 12 marzo 2013

Sulla mia pelle - Fruscio di ricordi


SULLA MIA PELLE
Fruscio di ricordi

Laura Tramuto

Formicolio.
Vita liquida scorre fra le dita e le impregna di un odore acre e penetrante. Getto uno sguardo poco attento verso il basso, alle mie mani: tutto ciò che vedo è pelle che si bagna e si asciuga al vento secco, pezzi di ossa raccattati sulla spiaggia, dispersi sotto carne viva.
Qui in riva al mare, fra suoni e frastuoni di onde che sbattono violentemente sulla battigia, c’è solo umidità, o meglio, questo è ciò che si avverte concretamente. E se guardo nel vento riconosco e distinguo sottilmente stracci di fotografie lacerate dal tempo, tempo fissato in qualche pixel.
Ma, d’altronde, l’orologio della coscienza e dei ricordi più intimi non ha i minuti scanditi da un tormentoso tic-tac, ha giusto un infinito racchiuso in attimi finiti e risolti. E, dentro a questi, mille parole, mille occhi, mille pensieri, mille gesti.
Mi sembra quasi facile e poco sofferto il ricordo ben consapevole degli anni passati; per quanto sfugga alla mia memoria l’insieme, ho ben fissi nella mente i particolari.

Rimembranza.
Tutto nacque un po’ di tempo fa, quando la malinconia di un po’ di felicità che uno strano disequilibrio mi trasmetteva, riconobbe il momento giusto per esplodere. Il retrogusto amarognolo di un giugno sereno si fece sentire in modo intenso e mi segnò al momento dell’allontanamento. Una fresca estate era alle porte, la scuola era finita da qualche giorno, gli occhi scintillavano di luce nuova, ma in fondo alla pupilla uno scuro ed intenso bagliore giunse quasi al lacrimare. Così, mi fermai a pensare ai giorni senza di loro, senza i compagni d’avventura che avevo avuto al mio fianco per cinque lunghi anni, ai giorni che mi attendevano, interminabili: tanti altri amici, tanta altra gente, ma non le persone con cui avevo condiviso ogni attimo, ogni istante, ogni singolo momento della mia vita.
Prati colorati alla luce di tante risate, all’ombra di mille sospiri, di pianti e in profonda sintonia con le panpsichiste emozioni che muovevano in noi l’abbandono dell’orgoglio e il progressivo aprirsi alla rinascita. Quel flemmatico atteggiamento stabile che ci era appartenuto per tanto tempo necessitava di una forte reazione, innescata da una sincera comprensione. Così noi, ascoltatrici di emozioni e portatrici di segreti, in cerchio ci sedemmo e prendemmo in considerazione la nostra vita. Per la prima volta, la svolta e la crescita, sollecitate dalle complici esperienze, nel prendere il sopravvento dispiegarono le ali verso un dolce planare fra ricordi passati e aspettative future, accompagnate da un sincero sostegno amichevole.
Noi, piccole donne che crescevano ogni giorno di più e ogni notte di meno, fra dubbi e incertezze che corrompono la stimabile fragilità di un’adolescente.
Noi, così unite e così diverse, eneantiodromicamente complementari, semenza ricca di sensazioni ed emozioni potenzialmente strabilianti.
Mi avvicinai e dissi: “Devo confessarvi il segreto della mia vita”.
Ed un sorriso, un riso leggero sfiorò loro le labbra; pronte dissero: “Eccoci”. E da lì, mille discorsi, consigli e avvertenze.
Ritrovata la vera essenza dell’amicizia, rilevata l’assenza di incomprensioni e il totale disinteresse, fu un piacere dire “Vi voglio bene, amiche mie”.

Notturna.
Lo ricordo come fosse ieri, era appena finito l’esame di maturità e un futuro tanto incerto, quanto palpitante, ci attendeva, futuro che ora è presente e, fra un attimo, già passato.
Scrivo di notte perché si colgono le sfumature della luce dei lampioni per le strade di qualche borgo di periferia. E poi si sente il profumo dell’aria fresca e qualche rumore distante, ma acuto e limpido.
Com’è lucido il mio pianoforte a coda, ha sopra solo qualche goccia di vino rosso, caduta per sbaglio dal bicchiere di vetro. Sol# è il mio accordo preferito, ha un non so che di assolutamente e profondamente sonoro e vibrante.
Mi specchio intrepidamente sulla vernice nera del piano e in mezzo alle piccole rughe rivedo i volti degli amici di una volta, mi sembra quasi di distinguere i tratti fisionomici di Francesca.
Sai, non ricordo quanti anni hai, chissà quanti ne avrai adesso, avrai gli anni di allora probabilmente, perché, se ci incontrassimo, diremmo che non è passato un istante fra di noi.
È stata una serata piacevole, questa in compagnia di vecchie conoscenze che si sono divertite a raccontarmi la vita agiata, sebbene semplice e sobria, che si conduce qui, a Bologna, la lieta e gaia cittadina del liceo. La mia vita, invece, non so dove sia, né dove risieda con precisione. Fra New York e Mosca ci sarà al mondo un po’ di spazio anche per me, per i miei studi, per le mie idee. Proprio queste, poi, le vado seminando in giro per il pianeta come fossero semi da lasciar crescere e maturare con la fiducia che prima o poi germoglieranno.
Dicono che sia sorte o destino, ma, fortunatamente, io non credo alla fortuna e, infatti, so che le compagne d’avventura che non ho rivisto questa sera saranno in giro per il mondo come me, fra una capitale e una metropoli, a domandare perché il mondo vada così e a cercare una risposta al nostro domani.
Noi, Baccanti sperdute.

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