L’Archivista
di Maria
Visconti, 3F
Buio. Un uomo senza età, capelli bianchi di stanchezza, occhiali scuri,
chino su dei libri aperti. Veste modestamente sui toni grigi e neri. Appare in
una scena tutta nera, solo le immagini intorno danno luce, sono le immagini di
libri e biblioteche polverose.
Quanti volti perduti,
nella memoria che li recide, e non ne resta che il nome! Ma un volto anonimo; certamente
mai più potrò dimenticarlo. Molti anni da allora, quasi venti forse, ma quel
volto, oh, non fatico certo a evocarlo: era un volto di tristezza, tale da dire
l’infinito, l’assoluto della tristezza, da renderla palpabile, come la solidità
della notte ne La linea d’ombra di Conrad. Si poteva dirlo bello, nello
smarrimento dello sguardo, quando non era basso. Ma, avendo sensi umani, subito
s’intuiva quanto raramente ciò avvenisse. E s’intuiva anche qual era il suo
grande vuoto: mancava di nostalgia. Perché la nostalgia non è che il sorriso
della tristezza. E lui non sapeva né sorridere né, tantomeno, piangere. Non era
affatto un buon segno: bisogna pensare infatti che l’unico uomo incapace di
piangere di cui il mondo abbia memoria il Poeta dell’Evo di Mezzo lo immaginò
congelato in eterno quasi nel punto in assoluto più distante dalla luce. Per questo
sole e pioggia facevano a quell’uomo solo del male, un male lacerante e profondissimo:
perché avrebbe tanto desiderato sorridere o piangere insieme con loro, eppure gli
scivolavano addosso. Laggiù infatti, in quell’isola ch’era il suo archivio, il
tempo non passava. Niente di strano dunque se la storia –la storia che continuamente
si fa in noi e intorno a noi- gli era del tutto estranea. Volteggiava al di
fuori del suo archivio, veloce, come al ritmo di un’invisibile giostra,
scivolando via.
Io, dal canto mio, avevo
appena ultimato una tal raccolta a cui stavo lavorando ormai da mesi, e mi
chiesi se l’ultimo tassello avrebbe potuto
essere utile all’archivio; volentieri quindi discesi nei sotterranei. Quando mi
avvicinai per consegnare il fascicoletto, l’uomo sussultò piano. Mi guardò,
come mi vedesse allora per la prima volta, e biascicò, assieme col fiato, poche
parole, per giunta affastellate, e perlopiù inaspettate. Per entrambi.
“Conosco
ogni parola dei codici e dei documenti a me affidati. Sono in grado di risalire
a qualsiasi fatto avvenuto negli ultimi cento anni e più. Mantenere un archivio
non è facile. Si tratta di una vera e propria arte. Sono figlio d’arte io, mio
padre, e prima di lui mio nonno ha custodito e conservato quest’archivio, con
la dedizione e il distacco richiesti. Mai farsi coinvolgere dai fatti che sono
qui conservati -questo l’insegnamento di chi mi ha preceduto. Ma, negli ultimi
tempi, nelle lunghe giornate vuote in cui, solo con questi codici, non avevo
altro da fare che riordinare, spolverare, controllare e rilegare la giusta
catalogazione, ho -quasi senza rendermene conto- cominciato a leggere documenti
a caso. Più leggevo più sentivo il bisogno di sapere e capire. Ben presto
mi resi conto che ero un custode
inconsapevole, indegno perfino di questo nome, capace sì di trovare un testo
richiesto in un attimo, ma assolutamente all’oscuro di ciò che in quei
documenti era racchiuso: ero, di fatto, un semplice passacarte, un servitore
dello Stato velato, oscuro e anonimo. La lettura è stata sin dall’inizio
devastante, oltre a dati e a fatti di per se stessi sterili, trovavo
incongruenze, omissioni e menzogne talmente palesi che mi pareva
incomprensibile non fossero state scoperte da tutti. Molte, troppe, non erano
ancora venute alla luce. Perché?” Una verità dunque si faceva strada nella mia
mente: più le menzogne erano assurde e maldestramente dissimulate più
apparivano credibili agli occhi dei cittadini ignari, o superficiali. “Se tutti
in un gruppo pensano la stessa cosa -pensai- è perché evidentemente qualcuno
non sta pensando.”
“Ho
avuto giorni in cui ogni mia certezza ha vacillato, ripetevo a me stesso: sono
un servitore dello Stato e il mio compito è custodire, archiviare, dare in consultazione,
non devo leggere né fare congetture né, tantomeno, collegare fatti o scoprire
incongruenze. Ripetermi queste semplici regole non faceva altro che aumentare
il mio desiderio di entrare più a fondo nei testi a me affidati e così andavo
avanti a leggere.” Poi uno sbuffo, e le spalle che scendevano verso il petto. “Per
qualche tempo mi ha accompagnato una sorta di strano rimorso, stavo facendo
qualcosa che ad un archivista non è consentito, stavo a poco a poco perdendo
fiducia nello Stato a cui sono debitore per l’assegnamento che per generazioni
mi ha accordato. Da impiegato muto ero di fatto passato al ruolo di giudice,
cosa da non farsi secondo le regole auree del buon servitore. Col tempo però
quella sorta di disagio andava via via scemando, andavo maturando una certezza:
la dedizione e il mandato alla riservatezza dell’essere un mero esecutore è la
garanzia migliore per consentire il dilagare della corruzione e delle più
oscure trame all’interno degli “apparati”. Cresceva in me la consapevolezza che
il silenzio, di tantissimi servitori, è in realtà una sorta di complicità
inconsapevole, che copre ogni ignominia e proprio su questo contano i corrotti
per interesse, i depistatori di professione, i falsi democratici.” E quelli che
una volta erano i suoi occhi, due lacune scure e piene di ombre, di colpo
presero ad acuirsi scintillando come spilli: “Ciò che maggiormente mi colpiva
era che tutto fosse lì, nero su bianco, certo il più delle volte, manipolato e
dissimulato, ma talmente inverosimile da essere immediatamente evidente,
chiarissimamente implicito.”
Uno
sbuffo, e un angolo della bocca si arricciava: “Incredibile come chi opera
nell’ombra desideri documentare le proprie prodezze. Ho preso questa mia nuova
attività come un lavoro e lo sto facendo con cura e dedizione. Nessuno me lo ha
commissionato e nessuno deve averne sentore. Anche se tu sai. Per ora non mi
pongo alcun obiettivo, ma ho la certezza che sarà utile. A differenza degli uomini
del potere non scrivo la storia ma, con un continuo e costante allenamento,
imparo tutto a memoria, catalogando mentalmente fatti date e argomenti,
dividendo per pagine commi e sottocommi: ho elaborato un metodo che mi permette
di trovare mnemonicamente un preciso argomento, un determinato anno o un
singolo fatto che abbia a che fare con corruttela o depistaggi, ma è necessaria
una concentrazione assai maggiore di prima, ogni dettaglio deve essere sempre
al posto giusto, non mi posso permettere nessuna distrazione, non voglio. Non
più. Pure, a tutti dovrò presentarmi come l’anonimo archivista di sempre. Ma
ora che la linea d’ombra s’assottiglia davanti a me, ora che sono consapevole
che presto giungerà il mio turno, il turno di un mio intervento serio
consistente e insistente, ora che sento che questi morti, esausti nella carta,
necessitano della mia vita e del mio impegno per resistere in me, io, ora, celo
l’identità.”
Sipario. L’Uomo ritorna sui testi e si capisce bene che sta interiorizzando
quanto sta leggendo.
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