martedì 12 marzo 2013

L'Archivista - Racconto

L’Archivista
di Maria Visconti, 3F

Buio. Un uomo senza età, capelli bianchi di stanchezza, occhiali scuri, chino su dei libri aperti. Veste modestamente sui toni grigi e neri. Appare in una scena tutta nera, solo le immagini intorno danno luce, sono le immagini di libri e biblioteche polverose.

Quanti volti perduti, nella memoria che li recide, e non ne resta che il nome! Ma un volto anonimo; certamente mai più potrò dimenticarlo. Molti anni da allora, quasi venti forse, ma quel volto, oh, non fatico certo a evocarlo: era un volto di tristezza, tale da dire l’infinito, l’assoluto della tristezza, da renderla palpabile, come la solidità della notte ne La linea d’ombra di Conrad. Si poteva dirlo bello, nello smarrimento dello sguardo, quando non era basso. Ma, avendo sensi umani, subito s’intuiva quanto raramente ciò avvenisse. E s’intuiva anche qual era il suo grande vuoto: mancava di nostalgia. Perché la nostalgia non è che il sorriso della tristezza. E lui non sapeva né sorridere né, tantomeno, piangere. Non era affatto un buon segno: bisogna pensare infatti che l’unico uomo incapace di piangere di cui il mondo abbia memoria il Poeta dell’Evo di Mezzo lo immaginò congelato in eterno quasi nel punto in assoluto più distante dalla luce. Per questo sole e pioggia facevano a quell’uomo solo del male, un male lacerante e profondissimo: perché avrebbe tanto desiderato sorridere o piangere insieme con loro, eppure gli scivolavano addosso. Laggiù infatti, in quell’isola ch’era il suo archivio, il tempo non passava. Niente di strano dunque se la storia –la storia che continuamente si fa in noi e intorno a noi- gli era del tutto estranea. Volteggiava al di fuori del suo archivio, veloce, come al ritmo di un’invisibile giostra, scivolando via.
Io, dal canto mio, avevo appena ultimato una tal raccolta a cui stavo lavorando ormai da mesi, e mi chiesi se l’ultimo tassello  avrebbe potuto essere utile all’archivio; volentieri quindi discesi nei sotterranei. Quando mi avvicinai per consegnare il fascicoletto, l’uomo sussultò piano. Mi guardò, come mi vedesse allora per la prima volta, e biascicò, assieme col fiato, poche parole, per giunta affastellate, e perlopiù inaspettate. Per entrambi.
“Conosco ogni parola dei codici e dei documenti a me affidati. Sono in grado di risalire a qualsiasi fatto avvenuto negli ultimi cento anni e più. Mantenere un archivio non è facile. Si tratta di una vera e propria arte. Sono figlio d’arte io, mio padre, e prima di lui mio nonno ha custodito e conservato quest’archivio, con la dedizione e il distacco richiesti. Mai farsi coinvolgere dai fatti che sono qui conservati -questo l’insegnamento di chi mi ha preceduto. Ma, negli ultimi tempi, nelle lunghe giornate vuote in cui, solo con questi codici, non avevo altro da fare che riordinare, spolverare, controllare e rilegare la giusta catalogazione, ho -quasi senza rendermene conto- cominciato a leggere documenti a caso. Più leggevo più sentivo il bisogno di sapere e capire. Ben presto mi  resi conto che ero un custode inconsapevole, indegno perfino di questo nome, capace sì di trovare un testo richiesto in un attimo, ma assolutamente all’oscuro di ciò che in quei documenti era racchiuso: ero, di fatto, un semplice passacarte, un servitore dello Stato velato, oscuro e anonimo. La lettura è stata sin dall’inizio devastante, oltre a dati e a fatti di per se stessi sterili, trovavo incongruenze, omissioni e menzogne talmente palesi che mi pareva incomprensibile non fossero state scoperte da tutti. Molte, troppe, non erano ancora venute alla luce. Perché?” Una verità dunque si faceva strada nella mia mente: più le menzogne erano assurde e maldestramente dissimulate più apparivano credibili agli occhi dei cittadini ignari, o superficiali. “Se tutti in un gruppo pensano la stessa cosa -pensai- è perché evidentemente qualcuno non sta pensando.”
“Ho avuto giorni in cui ogni mia certezza ha vacillato, ripetevo a me stesso: sono un servitore dello Stato e il mio compito è custodire, archiviare, dare in consultazione, non devo leggere né fare congetture né, tantomeno, collegare fatti o scoprire incongruenze. Ripetermi queste semplici regole non faceva altro che aumentare il mio desiderio di entrare più a fondo nei testi a me affidati e così andavo avanti a leggere.” Poi uno sbuffo, e le spalle che scendevano verso il petto. “Per qualche tempo mi ha accompagnato una sorta di strano rimorso, stavo facendo qualcosa che ad un archivista non è consentito, stavo a poco a poco perdendo fiducia nello Stato a cui sono debitore per l’assegnamento che per generazioni mi ha accordato. Da impiegato muto ero di fatto passato al ruolo di giudice, cosa da non farsi secondo le regole auree del buon servitore. Col tempo però quella sorta di disagio andava via via scemando, andavo maturando una certezza: la dedizione e il mandato alla riservatezza dell’essere un mero esecutore è la garanzia migliore per consentire il dilagare della corruzione e delle più oscure trame all’interno degli “apparati”. Cresceva in me la consapevolezza che il silenzio, di tantissimi servitori, è in realtà una sorta di complicità inconsapevole, che copre ogni ignominia e proprio su questo contano i corrotti per interesse, i depistatori di professione, i falsi democratici.” E quelli che una volta erano i suoi occhi, due lacune scure e piene di ombre, di colpo presero ad acuirsi scintillando come spilli: “Ciò che maggiormente mi colpiva era che tutto fosse lì, nero su bianco, certo il più delle volte, manipolato e dissimulato, ma talmente inverosimile da essere immediatamente evidente, chiarissimamente implicito.”
Uno sbuffo, e un angolo della bocca si arricciava: “Incredibile come chi opera nell’ombra desideri documentare le proprie prodezze. Ho preso questa mia nuova attività come un lavoro e lo sto facendo con cura e dedizione. Nessuno me lo ha commissionato e nessuno deve averne sentore. Anche se tu sai. Per ora non mi pongo alcun obiettivo, ma ho la certezza che sarà utile. A differenza degli uomini del potere non scrivo la storia ma, con un continuo e costante allenamento, imparo tutto a memoria, catalogando mentalmente fatti date e argomenti, dividendo per pagine commi e sottocommi: ho elaborato un metodo che mi permette di trovare mnemonicamente un preciso argomento, un determinato anno o un singolo fatto che abbia a che fare con corruttela o depistaggi, ma è necessaria una concentrazione assai maggiore di prima, ogni dettaglio deve essere sempre al posto giusto, non mi posso permettere nessuna distrazione, non voglio. Non più. Pure, a tutti dovrò presentarmi come l’anonimo archivista di sempre. Ma ora che la linea d’ombra s’assottiglia davanti a me, ora che sono consapevole che presto giungerà il mio turno, il turno di un mio intervento serio consistente e insistente, ora che sento che questi morti, esausti nella carta, necessitano della mia vita e del mio impegno per resistere in me, io, ora, celo l’identità.”

Sipario. L’Uomo ritorna sui testi e si capisce bene che sta interiorizzando quanto sta leggendo.

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