Rive Gauche
Primarie, dubbi e certezze
di Jessy Simonini
Primarie sì o primarie no? Alla
fine primarie sì. Il centrosinistra ha scelto la via della
consultazione popolare per scegliere il proprio candidato alla carica
di premier. Con tanti candidati e altrettanti progetti- anche di
segno opposto- per il Paese, le Primarie si preannunciano foriere di
discussioni e dibattiti interessanti.
Tuttavia, non starò troppo a concentrarmi sui candidati e su vuoti nomi, ma piuttosto sull'idea delle Primarie come strumento per la selezione della classe dirigente.
Introdotte in Italia dall'Unione, le prime, che si sono svolte nel 2005, le vinse l'ex premier Romano Prodi, che fu così candidato a Palazzo Chigi e divenne, per una manciata di voti, primo ministro. Da quel momento in poi, sono diventate la prassi per eleggere il segretario del Partito Democratico: nel 2007, con la vittoria di Walter Veltroni, e nel 2009, con quella di Pier Luigi Bersani, attuale segretario del Partito Democratico. Quest'autunno si ripeterà la storia del 2005: primarie di coalizione, aperte, alle quali tutti possono partecipare per scegliere il candidato premier del centrosinistra.
A prima vista sembrano uno strumento straordinario di partecipazione popolare che permetta al cittadino di esprimere la propria opinione sul candidato premier della coalizione e che, soprattutto, dia legittimità e sostegno alla candidatura alle Politiche.
Ma ci sono dei rilievi da fare, errori di funzionamento sui quali è utile riflettere.
In primo luogo, alle Primarie possono votare tutti. Possono votare i simpatizzanti e gli elettori della sinistra ma anche gli elettori della destra; infatti, in moltissime realtà locali, gli elettori della destra si sono recati in massa a votare alle primarie della parte opposta per fare vincere il candidato che avrebbe avuto più difficoltà ad essere eletto alle elezioni vere e proprie. Inquinare le scelte degli avversari per vincere più agevolmente: uno schema assurdo ma che l’esperienza ha certificato, come nel caso di Lecce o anche, per stare più vicini a noi, di Forlì e Faenza. In questo quadro, sarebbe utile pensare a Primarie che restringano il campo degli elettori o agli iscritti dei partiti della coalizione o, quantomeno, a tutti coloro che sono disposti a registrarsi a un albo degli elettori e che si riconoscano nei valori espressi del centrosinistra. Altrimenti si tratterebbe di un gioco al massacro: una destra divisa e disorientata potrebbe avere buoni motivi per andare a votare un candidato poco credibile e autorevole, poco in grado di vincere alle elezioni vere e proprie.
In secondo luogo, non è detto che le Primarie possano selezionare chi è più adatto a vincere e, soprattutto, a governare. Esistono altre forme di partecipazione e di decisione che mettano al centro i cittadini e, in particolare, i militanti dei partiti interessati. Sarebbe meglio usarle più spesso. Un esempio lampante dell’inefficacia delle Primarie è il caso di Bologna, quando nel 1999 a vincerle, con un plebiscito, fu la giovane Silvia Bartolini. Candidata poi alla carica di sindaco, fu clamorosamente sconfitta da Guazzaloca, dopo una campagna elettorale durante la quale si manifestò la sua incapacità politica.
In terzo luogo, le Primarie possono anche apparire come un segnale di irresponsabilità verso il Paese. Monopolizzare il dibattito sulle regole e sulle candidature invece che avviare un confronto sui temi del lavoro e dell’economia è profondamente sbagliato e scorretto verso chi sta vivendo sulla propria pelle le conseguenze di una crisi che impone sacrifici e fortissimi disagi.
Tuttavia, non starò troppo a concentrarmi sui candidati e su vuoti nomi, ma piuttosto sull'idea delle Primarie come strumento per la selezione della classe dirigente.
Introdotte in Italia dall'Unione, le prime, che si sono svolte nel 2005, le vinse l'ex premier Romano Prodi, che fu così candidato a Palazzo Chigi e divenne, per una manciata di voti, primo ministro. Da quel momento in poi, sono diventate la prassi per eleggere il segretario del Partito Democratico: nel 2007, con la vittoria di Walter Veltroni, e nel 2009, con quella di Pier Luigi Bersani, attuale segretario del Partito Democratico. Quest'autunno si ripeterà la storia del 2005: primarie di coalizione, aperte, alle quali tutti possono partecipare per scegliere il candidato premier del centrosinistra.
A prima vista sembrano uno strumento straordinario di partecipazione popolare che permetta al cittadino di esprimere la propria opinione sul candidato premier della coalizione e che, soprattutto, dia legittimità e sostegno alla candidatura alle Politiche.
Ma ci sono dei rilievi da fare, errori di funzionamento sui quali è utile riflettere.
In primo luogo, alle Primarie possono votare tutti. Possono votare i simpatizzanti e gli elettori della sinistra ma anche gli elettori della destra; infatti, in moltissime realtà locali, gli elettori della destra si sono recati in massa a votare alle primarie della parte opposta per fare vincere il candidato che avrebbe avuto più difficoltà ad essere eletto alle elezioni vere e proprie. Inquinare le scelte degli avversari per vincere più agevolmente: uno schema assurdo ma che l’esperienza ha certificato, come nel caso di Lecce o anche, per stare più vicini a noi, di Forlì e Faenza. In questo quadro, sarebbe utile pensare a Primarie che restringano il campo degli elettori o agli iscritti dei partiti della coalizione o, quantomeno, a tutti coloro che sono disposti a registrarsi a un albo degli elettori e che si riconoscano nei valori espressi del centrosinistra. Altrimenti si tratterebbe di un gioco al massacro: una destra divisa e disorientata potrebbe avere buoni motivi per andare a votare un candidato poco credibile e autorevole, poco in grado di vincere alle elezioni vere e proprie.
In secondo luogo, non è detto che le Primarie possano selezionare chi è più adatto a vincere e, soprattutto, a governare. Esistono altre forme di partecipazione e di decisione che mettano al centro i cittadini e, in particolare, i militanti dei partiti interessati. Sarebbe meglio usarle più spesso. Un esempio lampante dell’inefficacia delle Primarie è il caso di Bologna, quando nel 1999 a vincerle, con un plebiscito, fu la giovane Silvia Bartolini. Candidata poi alla carica di sindaco, fu clamorosamente sconfitta da Guazzaloca, dopo una campagna elettorale durante la quale si manifestò la sua incapacità politica.
In terzo luogo, le Primarie possono anche apparire come un segnale di irresponsabilità verso il Paese. Monopolizzare il dibattito sulle regole e sulle candidature invece che avviare un confronto sui temi del lavoro e dell’economia è profondamente sbagliato e scorretto verso chi sta vivendo sulla propria pelle le conseguenze di una crisi che impone sacrifici e fortissimi disagi.
Ad ogni modo, partendo dal fatto
che le Primarie si faranno, come studente e come militante di un
partito della sinistra, io andrò a votare. E, in particolare, la mia
scelta ricadrà su Pier Luigi Bersani, il segretario del Partito
Democratico. Aldilà di una naturale simpatia umana, c’è dietro
una precisa ragione politica. Bersani è il candidato più serio e
affidabile. Introduce un elemento di credibilità e rispettabilità
e, soprattutto, è portatore di valori nei quali mi riconosco
appieno. I valori della sinistra: la sinistra che mette al centro del
dibattito il lavoro e la solidarietà, contro il neoliberismo, il
populismo e l’individualismo. Ed è colui che è in grado di
portare un vero rinnovamento generazionale: in questi anni, come
segretario del PD, si è circondato di dirigenti giovani e capaci
come Stefano Fassina, Matteo Orfini e Francesca Puglisi. Non vedo in
Matteo Renzi, sindaco di Firenze, anche lui candidato alle Primarie,
il futuro Presidente del Consiglio. Perché, nonostante una
dialettica spumeggiante, è culturalmente spostato verso destra, ha
proposte che iscrivono nel solco di un liberalismo che in questi
ultimi anni si è rivelato fallimentare e che è stato la causa
primaria della crisi economica che stiamo attraversando. Non credo,
infatti, che serva a tutti i costi un candidato giovane, specie se si
tratta di un candidato che non ha le caratteristiche adatte per
governare il Paese. Inutile è la retorica del giovanilismo fine a se
stesso: credo ci sia bisogno di un ragionamento più ampio, legato al
rinnovamento delle idee e alle competenze.
L’invito
che posso formulare è che tutti i ragazzi che abbiano un’età
superiore ai 16 anni (è consentito infatti che alle Primarie si
rechino a votare anche i sedicenni) e che si riconoscano nei valori
del centrosinistra non solo vadano a votare alle Primarie ma, in
particolare, contribuiscano attivamente alla ricostruzione del Paese
attraverso l’impegno diretto nella Politica, a tutti i livelli.
Credo fermamente che sia l’unico strumento che ci resta per
fronteggiare una gravissima crisi di rappresentanza e per ridare
vigore e credibilità alla democrazia. Un invito che Antonio Gramsci,
quasi un secolo fa, riassumeva così:
“Istruitevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza. Agitatevi, perché avremo bisogno di tutto il nostro entusiasmo. Organizzatevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra forza”.
“Istruitevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza. Agitatevi, perché avremo bisogno di tutto il nostro entusiasmo. Organizzatevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra forza”.
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