Grand Canyon
Tramonto
Micol Damiani, 5N
Sono seduta su una
roccia, lontana dal vociare della miriade di turisti preoccupati
solamente di immortalare questo momento per mostrarlo orgoglioso agli
amici.
Sono sola,
circondata dall’aria della sera, ancora carica di umidità, e cerco
di riempirmi, respirando, del canto dei grilli e dell’aroma di
piante e bosco e terra.
Lembi di nebbia in
lontananza accarezzano le pareti del canyon, dello stesso viola delle
nuvole e del cielo.
La notte, come una
coperta, scende sulle rocce e sul fiume, e la pace e la calma si
fanno quasi palpabili. Il tempo sembra dilatarsi mentre il sole, una
pigra sfera infuocata, sparisce dietro alle montagne. Il mondo tira
un respiro, come se la frenesia del giorno stesse lasciando il posto
ai ritmi più tranquilli della notte, quando tutto riposa.
Pace.
Ogni animale, ogni
pianta, ogni nuvola e ogni roccia trova il proprio posto, mentre il
fiume, nelle profondità della gola, scorre, pacato.
La calma scende
anche su di me, che mi fondo col paesaggio diventandone parte, non
più come un’intrusa, ma come sua abitante. Come se anche io avessi
trovato il mio posto, io così piccola e insignificante, tra queste
rocce millenarie e impassibili e grandi.
Mi disfo della mia
individualità, mi svesto della mia presunzione e divento un umile
granello di mondo.
Prendo il respiro,
lo trattengo e poi lo lascio andare, tranquillo.
Questi spazi
sconfinati mi fanno stare bene, mi rassicurano.
Questo West ancora
selvaggio, con le sue pianure immense, coi i suoi paesaggi vuoti che
si perdono nell’orizzonte, mi calma.
Queste rocce che
hanno osservato tantissimi uomini tentare di espugnarle e magari
morire tentandolo, rimanendo immobili nella loro quieta grandezza, mi
accolgono.
Perché è come se
questa vastità, così ancora meravigliosamente priva di uomini, di
città, di fretta e aspettative, mi stesse sussurrando che, in fondo,
nel mondo c’è posto anche per me.
Anche
per me.
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