venerdì 15 marzo 2013


ELISABETTA SIRANI,
OLTRE LA TELA

Ilaria Roncarati II F

Non so quanti di voi sappiano chi sia stata o cosa fece questa donna. Tutto ciò lo ignoravo anch’io, fino all’apertura del museo della storia di Bologna a palazzo Pepoli, nella cui ultima sala sono ospitati 12 imponenti busti di donne celebri e, tra questi, ho letto il nome di Elisabetta Sirani. Da quel momento ho deciso di saperne di più e di scrivere queste righe per condividere lo stupore che mi ha colto di fronte all’incredibile tenacia e abilità di questa donna. Elisabetta Sirani nacque, visse e lavorò nella Bologna del 1600, dove morì, giovanissima, all’età di ventisette anni. Era la figlia più famosa dell’affermato artista e mercante d’arte bolognese Giovanni Andrea Sirani, primo assistente di Guido Reni. Divenne nella seconda metà del ‘600 una pittrice professionista e acquafortista, si pensi che a soli ventiquattro anni era già a capo della sua bottega. In seguito diventò poi Professoressa all’Accademia d’arte di San Luca a Roma, e la prima artista donna in Europa a fondare una scuola femminile di pittura, l’Accademia del Disegno, in cui studiarono anche due sue sorelle minori. In pochi anni Elisabetta diventò l’artista donna più celebrata e quotata di Bologna e le sue opere vennero esposte nelle maggiori collezioni europee già durante la sua breve vita. Fu famosa per il suo stile alto barocco, che io considero “ultramoderno” per l’abilita tecnica e artistica, le sue tele mostravano infatti uno stile pittorico espressivo e veloce, con pennellate ampie e un impasto fluido, che si combinava con un intenso e raffinato senso del colore e del chiaroscuro. Al culmine della sua carriera, tra il 1662 e il 1664, Elisabetta era una degli artisti più apprezzati, i suoi lavori godevano di ottima considerazione nei circoli cittadini di mercanti, professionisti e intellettuali, i quali ammiravano, essenzialmente, il fatto che fosse una donna a dipingere tele così perfette. Il successo di questa donna è merito in parte anche della città stessa, visto che aveva attuato una politica di promozione sociale che incoraggiava il coinvolgimento delle donne nella vita pubblica e religiosa e valorizzava la creatività, l’istruzione e le conquiste intellettuali femminili. In questo contesto, Elisabetta diede un contributo decisivo allo sviluppo della Scuola Bolognese di pittura alla metà del Seicento, anche se la sua carriera professionale abbracciò solo il decennio 1655-1665. Una particolarità dell’ artista era essere lodata e allo stesso tempo criticata, per la rapidità d’esecuzione, infatti era dotata di una straordinaria velocità, tanto da riuscire ai terminare il ritratto di un busto in una sola seduta. Grazie a questa rapidità, nonostante la sua vita brevissima, dipinse quasi 200 tele. Una sua caratteristica peculiare fu la realizzazione, per committenti privati, di tele con soggetti nuovi ed insoliti, caratterizzati da una forza iconografica e narrativa unica nella rappresentazione della “femme fortes ” , l’eroina femminile, biblica, classica, mitologica o letteraria, quali le celebri Giuditta, Porzia, Cleopatra, Circe. In queste tele, per le quali si preparò studiando antichi testi e osservando le risorse iconografiche conservate nella biblioteca e nella collezione d’arte del padre, ella dipinse le sue eroine come figure indipendenti, attive, intelligenti, coraggiose, ossia dotate di valori generalmente associati alla sfera maschile. A mio avviso, la figura stessa di Elisabetta rappresentava un nuovo modello di “femminilità”: donna decisa, nella pratica artistica e nella posizione professionale, al punto che i suoi contemporanei la classificarono come “mascolina”. Elisabetta divenne famosa anche per la creazione di ritratti sociali allegorici, ad esempio quello della Contessa Anna Maria Ranuzzi ritratta come la Carità, ma soprattutto per alcune fra le Madonne più belle di quel periodo. Con la maturazione dello stile questi dipinti divennero più naturalistici e realistici, meno dipendenti dai modelli idealizzati di Guido Reni, che aveva influenzato i primi anni della sua carriera, tanto che all’inizio era opinione diffusa che Elisabetta Sirani fosse la reincarnazione artistica del genio di Reni. Eppure la giovane riuscì a sviluppare uno stile proprio, intimo e indipendente, a «far maniera da sé», basato sul rapporto emotivo e affettivo tra l’artista e il suo soggetto. Particolare che mi ha colpito in modo significativo è la firma che l’artista apportava alle sue opere in modo del tutto singolare, “ricamando” il nome su bottoni, polsini, scollature e cuscini oppure “ incidendolo” negli elementi architettonici delle tele.
Vi starete chiedendo se abbiamo notizie della sua vita privata, potrei rispondervi dicendo che Elisabetta non si sposò, rimase un’artista lavoratrice nubile e per questo divenne una figura particolarmente importante per la professionalizzazione della pratica artistica femminile in Italia all’inizio della storia moderna. Nella sua accademia ospitava un buon numero di apprendiste e fondò la prima accademia professionale d’arte per giovani donne, in cui tutte le studentesse proseguivano la pratica artistica a livello professionale. Fu proprio merito dei suoi sforzi, che definirei quasi “ pionieristici” e dell’ accademia femminile da lei voluta se la seconda metà del Seicento bolognese divenne uno dei periodi più fertili della storia dell’arte femminile.



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