ELISABETTA SIRANI,
OLTRE LA TELA
Ilaria Roncarati II F
Non
so quanti di voi sappiano chi sia stata o cosa fece questa donna.
Tutto ciò lo ignoravo anch’io, fino all’apertura del museo della
storia di Bologna a palazzo Pepoli, nella cui ultima sala sono
ospitati 12 imponenti busti di donne celebri e, tra questi, ho
letto il nome di Elisabetta Sirani. Da quel momento ho deciso di
saperne di più e di scrivere queste righe per condividere lo
stupore che mi ha colto di fronte all’incredibile tenacia e abilità
di questa donna. Elisabetta Sirani nacque, visse e lavorò nella
Bologna del 1600, dove morì, giovanissima, all’età di ventisette
anni. Era la figlia più famosa dell’affermato artista e mercante
d’arte bolognese Giovanni Andrea Sirani, primo assistente di Guido
Reni. Divenne nella seconda metà del ‘600 una pittrice
professionista e acquafortista, si pensi che a soli ventiquattro anni
era già a capo della sua bottega. In seguito diventò poi
Professoressa all’Accademia d’arte di San Luca a Roma, e la prima
artista donna in Europa a fondare una scuola femminile di pittura,
l’Accademia del Disegno, in cui studiarono anche due sue sorelle
minori. In pochi anni Elisabetta diventò l’artista donna più
celebrata e quotata di Bologna e le sue opere vennero esposte nelle
maggiori collezioni europee già durante la sua breve vita. Fu famosa
per il suo stile alto barocco, che io considero “ultramoderno”
per l’abilita tecnica e artistica, le sue tele mostravano infatti
uno stile pittorico espressivo e veloce, con pennellate ampie e un
impasto fluido, che si combinava con un intenso e raffinato senso del
colore e del chiaroscuro. Al culmine della sua carriera, tra il 1662
e il 1664, Elisabetta era una degli artisti più apprezzati, i suoi
lavori godevano di ottima considerazione nei circoli cittadini di
mercanti, professionisti e intellettuali, i quali ammiravano,
essenzialmente, il fatto che fosse una donna a dipingere tele così
perfette. Il successo di questa donna è merito in parte anche della
città stessa, visto che aveva attuato una politica di promozione
sociale che incoraggiava il coinvolgimento delle donne nella vita
pubblica e religiosa e valorizzava la creatività, l’istruzione e
le conquiste intellettuali femminili. In questo contesto, Elisabetta
diede un contributo decisivo allo sviluppo della Scuola Bolognese di
pittura alla metà del Seicento, anche se la sua carriera
professionale abbracciò solo il decennio 1655-1665. Una
particolarità dell’ artista era essere lodata e allo stesso tempo
criticata, per la rapidità d’esecuzione, infatti era dotata di
una straordinaria velocità, tanto da riuscire ai terminare il
ritratto di un busto in una sola seduta. Grazie a questa rapidità,
nonostante la sua vita brevissima, dipinse quasi 200 tele. Una sua
caratteristica peculiare fu la realizzazione, per committenti
privati, di tele con soggetti nuovi ed insoliti, caratterizzati da
una forza iconografica e narrativa unica nella rappresentazione della
“femme fortes ” , l’eroina femminile, biblica, classica,
mitologica o letteraria, quali le celebri Giuditta, Porzia,
Cleopatra, Circe. In queste tele, per le quali si preparò studiando
antichi testi e osservando le risorse iconografiche conservate nella
biblioteca e nella collezione d’arte del padre, ella dipinse le
sue eroine come figure indipendenti, attive, intelligenti,
coraggiose, ossia dotate di valori generalmente associati alla sfera
maschile. A mio avviso, la figura stessa di Elisabetta rappresentava
un nuovo modello di “femminilità”: donna decisa, nella pratica
artistica e nella posizione professionale, al punto che i suoi
contemporanei la classificarono come “mascolina”. Elisabetta
divenne famosa anche per la creazione di ritratti sociali allegorici,
ad esempio quello della Contessa Anna Maria Ranuzzi ritratta come la
Carità, ma soprattutto per alcune fra le Madonne più belle di quel
periodo. Con la maturazione dello stile questi dipinti divennero più
naturalistici e realistici, meno dipendenti dai modelli idealizzati
di Guido Reni, che aveva influenzato i primi anni della sua carriera,
tanto che all’inizio era opinione diffusa che Elisabetta Sirani
fosse la reincarnazione artistica del genio di Reni. Eppure la
giovane riuscì a sviluppare uno stile proprio, intimo e
indipendente, a «far maniera da sé», basato sul rapporto emotivo e
affettivo tra l’artista e il suo soggetto. Particolare che mi ha
colpito in modo significativo è la firma che l’artista apportava
alle sue opere in modo del tutto singolare, “ricamando” il nome
su bottoni, polsini, scollature e cuscini oppure “ incidendolo”
negli elementi architettonici delle tele.
Vi
starete chiedendo se abbiamo notizie della sua vita privata, potrei
rispondervi dicendo che Elisabetta non si sposò, rimase
un’artista lavoratrice nubile e per questo divenne una figura
particolarmente importante per la professionalizzazione della pratica
artistica femminile in Italia all’inizio della storia moderna.
Nella sua accademia ospitava un buon numero di apprendiste e fondò
la prima accademia professionale d’arte per giovani donne, in cui
tutte le studentesse proseguivano la pratica artistica a livello
professionale. Fu proprio merito dei suoi sforzi, che definirei quasi
“ pionieristici” e dell’ accademia femminile da lei voluta se
la seconda metà del Seicento bolognese divenne uno dei periodi più
fertili della storia dell’arte femminile.
Nessun commento:
Posta un commento