giovedì 14 marzo 2013


                  150 anni di vita

                                                   di Filippo Socini


Giori “Con le premesse di Marinetti avreste potuto addirittura prevedere la Grande Guerra…”

Salati “Che infatti non tardò ad arrivare. L’Italia, grazie anche alla spinta di queste correnti interventiste e si ritrovò invischiata in una guerra che fece sedici milioni di vittime. E dallo scontento per gli esiti della guerra nacque qualcosa di ancora più atroce: il Nazionalsocialismo in Germania ed il Fascismo in Italia.”

Giori “Eh, Francesco, la storia è un intricato nesso di cause ed effetti talvolta incomprensibili: da una monarchia è nata una guerra, da una guerra è nata una dittatura, e da una dittatura è nata un’altra guerra, la Seconda.”

Salati “Erano i tempi dei miei nonni, che durante il Ventennio si trovarono in una posizione di forti pressioni; la testata giornalistica di proprietà delle Edizioni Salati tentava di mantenere una certa imparzialità dal punto di vista politico, ma l’imparzialità non era ammessa dal Regime, che esigeva totale e disinteressata devozione. Così per ogni notizia che riguardasse anche solo lontanamente l’aspetto politico arrivavano le veline da Roma, da cui non ci si poteva distaccare minimamente. I Salati persero ogni ruolo decisionale, e le funzioni all’interno del giornale furono imposte direttamente da Palazzo Venezia; qualsiasi articolo passava sotto un’attenta analisi da parte del Minculpop e la propaganda del Partito invadeva tutti canali mediatici. Alla fine della guerra i Salati riottennero piena giurisdizione sulle loro proprietà editoriali e appoggiarono le idee repubblicane. Fortunatamente dodici milioni di Italiani votarono per la Repubblica, contro i dieci che avrebbero preferito Umberto II come Re d’Italia. E il 6 Giugno 1946 il giornale di famiglia titolò: “L’Italia è Repubblica: Umberto lascia il potere a De Gasperi”.

Giori “E così, a quasi cent’anni dalla fine della dominazione borbonico/asburgica in Italia, ci fu il secondo Risorgimento italiano. Ora, senza arrivare ai limiti del nuovo dilagante revisionismo, mi sento in dovere di notare che non tutto era andato come doveva andare: potrebbe qualcuno gioire per gli avvenimenti di piazzale Loreto? O per le stragi compiute nei confronti dei fascisti nei giorni fra il 25 aprile e il 3 maggio 1945?

Salati “Hai ragione, Carlo, ma temo che nella tua valutazione si nasconda il rimpianto per la fine della monarchia più che per il sangue versato… perchè da Conti di Collemartire diventaste semplicemente i signori Giori... Per noi imprenditori invece, grazie al successivo boom economico, si prospettava un periodo fortunato. La nostra produzione si ampliò molto: quotidiani, riviste, libri d’arte e un’enciclopedia che fece la nostra fortuna. Dopo la fine degli anni ’50 chiunque poteva permettersi di avere in soggiorno l’Enciclopedia Salati. Ma la calma non era destinata a durare a lungo: nel 1968 un sentimento rivoluzionario stava nascendo; inizialmente aveva uno scopo di rinnovamento sociale, ma in pochi anni si sarebbe trasformato in un nuovo Ventennio di terrore. Infatti dopo la fine della Guerra le ideologie erano rimaste in incubazione per due decenni, e solo ora riprendevano vita con più vigore che mai, nella loro forma più spregevole: il terrorismo. Dopo l’omicidio di Aldo Moro e ancora di più dopo quello di Walter Tobagi, la paura cresceva e i miei zii decisero di dare totale libertà ai nostri giornalisti di scrivere o no a proposito di politica, per salvare le loro famiglie dalla polvere da sparo e dal piombo.”

Giori “Poi, lentamente, l’integralismo andò attenuandosi, e anche attraverso Mani Pulite ci si avviò verso un nuovo momento storico, nel quale tutti riposero grandi aspettative: da lì nacque la Seconda Repubblica, in cui ancora oggi ci troviamo.”

Salati “E nonostante l’apparente aria nuova, il nostro giornale continua ad essere pieno di notizie che indignerebbero chiunque non sia italiano. Siamo arrivati al 2011, ancora interi nonostante i tentativi disgreganti e secessionisti di molti, e in fondo credo di sentire quel sentimento di appartenenza in cui tanti uomini avevano creduto un secolo e mezzo fa. Ora però siamo arrivati ad un punto in cui dobbiamo metterci in gioco e saper trarre dalla storia gli insegnamenti che ci aiuteranno a non ricadere più nella divisione, nella dittatura e nel terrorismo, nelle ideologie estreme. Grazie a quello che noi sapremo trasmettere ai nostri figli del nostro passato, loro potranno portare avanti il tentativo di far comprendere a tutti il senso di questa lingua di terra che ha regalato al mondo tutto ciò che di più bello esiste, ma che non si è ancora accorta della propria grandezza. Il tuo antenato liberale tentò l’impresa, ci provarono i miei bisnonni con le industrie cartarie e poi con l’editoria, e un po’ alla volta stiamo ottenendo ciò che aveva augurato Massimo D’Azeglio quando disse: ‘Abbiamo fatto l'Italia ora dobbiamo fare gli italiani’. L’Opera è quasi riuscita”

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