Il ritorno di B-Roy
di Cosimo Sarti
Poco meno di un anno
fa, il ventisettenne Brandon Roy, giocatore simbolo dei Portland
Trailblazers e All-Star affermato in NBA, annunciava così il suo
ritiro per ragioni mediche:”La mia famiglia e la mia salute sono la
cosa più importante per me, amo questo gioco ma dopo essermi
consultato con i dottori ho deciso di ritirarmi”. La “ragione
medica” consiste nella totale mancanza della cartilagine fra le
ossa di entrambe le ginocchia, problema che non è stato possibile
risolvere neanche con i numerosi interventi a cui il giocatore si è
sottoposto nel corso degli anni. Il ritiro era ormai inevitabile, da
Dicembre 2010 Roy non giocava praticamente più, ridotto ad un ruolo
di riserva fra un'operazione e l'altra. Eppure, in uno di quei
momenti in cui un grende sportivo riesce a immaginare e portare a
compimento imprese che altri non hanno nemmeno il coraggio di
pensare, quei momenti in cui tutto sembra perduto da cui solo i
campioni riescono a uscire vittoriosi, Brandon Roy aveva giocato come
il vero Brandon Roy, proprio nell'ultima partita davanti ai suoi
tifosi. I Mavs, che avrebbero poi vinto quel campionato, stavano
battendo facilmente e sonoramente i Blazers nel primo round di
playoff, quando il sogno dei presenti al Rose Garden divenne realtà
davanti ai loro occhi: B-Roy, “The Natural” per la gente di
Portland, si stava mettendo la squadra sulle spalle per l'ultima
volta, e, con 18 punti e il canestro del vantaggio definitivo a mezzo
minuto dalla fine, la conduceva ad un'insperata vittoria. Si trattava
tuttavia di un episodio isolato, quindi arrivò comunque l'annuncio
del ritiro a pochi giorni dall'inizio della nuova stagione. Roy quel
giorno disse che non avrebbe rinunciato a poter giocare con i suoi
figli a causa del basket, che aveva completamente distrutto le sue
fragili ginocchia.
Nonostante tutto,
“The Natural” è da qualche settimana un giocatore dei Minnesota
Timberwolves, e, avendo firmato un contratto al minimo stipendio NBA,
tornerà a giocare dalla stagione 2012-2013. Non si può non ammirare
il coraggio di che crede che giocare gli farà più bene di quanto le
sue ginocchia non possano fargli male ad ogni salto e ad ogni scatto,
di chi è disposto a mettere a repentaglio addirittura la possibilità
di camminare in futuro per non abbandonare il suo sogno. I grandi
atleti si distinguono in questo rispetto agli altri: non sanno vivere
senza giocare, vanno contro a ogni logica per poter sfogare il loro
talento, non riescono a fare a meno di voler dimostrare al mondo di
essere i più forti, qualunque cosa succeda. Come disse Rudy
Tomjanovich dopo aver vinto il suo secondo titolo consecutivo da
allenatore dei Rockets nel '95, “don't ever underestimate the heart
of a champion”, mai sottovalutare il cuore di un campione.
Per
un campione che ritorna ce n'è uno che abbandona: oggi, 4/10/2012,
Michael Schumacher, il miglior pilota di F1 di tutti i tempi,
annuncia il suo ritiro definitivo dalle corse all'età di 43 anni. Il
prossimo articolo sarà su di lui, per questo numero non ho avuto il
tempo materiale, però la sua carriera merita di essere ricordata.
Nessun commento:
Posta un commento