Vacanza e volontariato: due parole sul Centro di Cura e Soccorso delle Tartarughe marine a Lampedusa
Nayomi Illansinhage Don –
5°O
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Il volontariato può offrire una grande varietà di esperienze, e fra queste bisognerebbe tenere in considerazione anche il volontariato per gli animali. Fa ridere pensare che io quest’estate sono venuta a conoscenza di un progetto di questo tipo leggendo per caso su una delle bustine del WWF che distribuivano alla Coop, ma, al di là di questo, basta cercare su internet per trovare molte opportunità del genere.
Ad agosto ho preso parte a un progetto di volontariato presso il Centro di Cura, nell’isola di Lampedusa, dove al momento della mia permanenza erano ospitate una decina di tartarughe marine Caretta caretta.
Questa esperienza mi ha
stupita e coinvolta al massimo fin da subito, a partire dal primo contatto con
l’ambiente dell’isola, che comprende la conoscenza del gruppo degli altri
volontari, che come me avevano scelto questa forma di vacanza, ma anche
l’impatto che ha avuto il conoscere la realtà del Centro delle Tartarughe e il
ruolo degli isolani, dei volontari e dei turisti.
Il Centro, come anche tutta l’attività del volontariato che lo supporta, è gestito da una donna, Daniela, e da alcuni colleghi e amici che la aiutano, ma principalmente il progetto è tenuto in vita dalla sua iniziativa e anche dalle sue personali spese finanziarie. Infatti il progetto, a quanto ho potuto vedere, non riceve fondi regolari e costanti dall’ente del WWF; nonostante questo però il Centro negli ultimi anni è cresciuto e ha stabilito una certa importanza sull’isola, anche dal punto di vista dell’interesse turistico.
Il Centro è nei pressi del porto di Lampedusa, e ogni giorno feriale dalle 17 alle 20 è aperto al pubblico, mentre al mattino i volontari si occupano della pulizia delle vasche delle tartarughe e degli ambienti del Centro, e alla sera avvengono le medicazioni degli animali, seguite e praticate da veterinari volontari.
Durante l’apertura del centro al pubblico, momento della giornata particolare e caotico, si raccolgono molte offerte libere dai turisti, soldi che servono per le numerosissime spese del Centro.
Inoltre, posizionati alle vasche delle tartarughe o in altri punti della struttura vi sono i volontari, che raccontano ai visitatori le attività e il lavoro che stanno dietro al mantenimento del Centro, e anche la storia delle tartarughe marine ospiti.
Da situazioni come questa si evince come siano fondamentali i volontari nel divulgare ai turisti e ai Lampedusiani tutto ciò che essi hanno osservato e vissuto: il racconto in prima persona da parte dei volontari delle vicissitudini delle singole tartarughe tocca nervi delicati in chi li ascolta.
Tra le storie più conosciute, vi è ad esempio quella di Amanda (nomi come questo sono stati dati dai volontari) una tartaruga femmina attorno all’età di trent’anni. In acqua, vicino a riva, Amanda si è scontrata con le pale dell’elica di un’imbarcazione, probabilmente mentre era di ritorno da una spiaggia su cui aveva deposto le uova. La collisione con la barca le ha aperto un taglio profondo circa 3 centimetri sul carapace, e le due parti di esso sono “collassate”, mostrando alla luce gli organi interni di Amanda. I veterinari del centro, appena la tartaruga è pervenuta, hanno pensato a un modo per isolare la ferita dall’acqua salata della vasca, in modo da evitare che si formassero infezioni: infatti sul carapace le hanno incollato una scatola di plastica, a cui è stato tolto il fondo. In questo modo l’animale può anche essere medicato giornalmente. Vi sono altre storie di forte intensità come questa, ad esempio quella di Homerus, un’altra tartaruga femmina chiamata così dai volontari per la frattura all’omero di una delle due pinne (nelle tartarughe le fratture non si risaldano, non si forma il callo osseo), rimasta impigliata in una rete da pesca. Questo animale precedentemente aveva avuto anche una collisione con una barca, che le ha causato una frattura nella parte inferiore del carapace, abbastanza profonda da paralizzarle gli arti inferiori.
Ma non sono solo le imbarcazioni che questi animali devono fronteggiare in mare, ma anche rifiuti (plastica che viene accidentalmente ingerita), ami e lenze, pesca a strascico e palangrese.
Questo genere di storie a mio parere fa riflettere molto, e sul serio, sugli effetti degli uomini sull’ambiente, e la cosa più impressionante è stata osservare che spesso anche gli stessi abitanti dell’isola non si curavano del loro pezzo di terra e delle loro spiagge. Forse mi aspettavo al contrario un’attenzione maggiore proprio perché mi ero immaginata l’isola come una realtà a sé stante (e, nei limiti, anche un po’ auto organizzata, come di fatto è), lontana non solo geograficamente dal resto della penisola, una situazione in cui si potesse sviluppare una sensibilità diversa per certe questioni come l’ambiente.
Il Centro, come anche tutta l’attività del volontariato che lo supporta, è gestito da una donna, Daniela, e da alcuni colleghi e amici che la aiutano, ma principalmente il progetto è tenuto in vita dalla sua iniziativa e anche dalle sue personali spese finanziarie. Infatti il progetto, a quanto ho potuto vedere, non riceve fondi regolari e costanti dall’ente del WWF; nonostante questo però il Centro negli ultimi anni è cresciuto e ha stabilito una certa importanza sull’isola, anche dal punto di vista dell’interesse turistico.
Il Centro è nei pressi del porto di Lampedusa, e ogni giorno feriale dalle 17 alle 20 è aperto al pubblico, mentre al mattino i volontari si occupano della pulizia delle vasche delle tartarughe e degli ambienti del Centro, e alla sera avvengono le medicazioni degli animali, seguite e praticate da veterinari volontari.
Durante l’apertura del centro al pubblico, momento della giornata particolare e caotico, si raccolgono molte offerte libere dai turisti, soldi che servono per le numerosissime spese del Centro.
Inoltre, posizionati alle vasche delle tartarughe o in altri punti della struttura vi sono i volontari, che raccontano ai visitatori le attività e il lavoro che stanno dietro al mantenimento del Centro, e anche la storia delle tartarughe marine ospiti.
Da situazioni come questa si evince come siano fondamentali i volontari nel divulgare ai turisti e ai Lampedusiani tutto ciò che essi hanno osservato e vissuto: il racconto in prima persona da parte dei volontari delle vicissitudini delle singole tartarughe tocca nervi delicati in chi li ascolta.
Tra le storie più conosciute, vi è ad esempio quella di Amanda (nomi come questo sono stati dati dai volontari) una tartaruga femmina attorno all’età di trent’anni. In acqua, vicino a riva, Amanda si è scontrata con le pale dell’elica di un’imbarcazione, probabilmente mentre era di ritorno da una spiaggia su cui aveva deposto le uova. La collisione con la barca le ha aperto un taglio profondo circa 3 centimetri sul carapace, e le due parti di esso sono “collassate”, mostrando alla luce gli organi interni di Amanda. I veterinari del centro, appena la tartaruga è pervenuta, hanno pensato a un modo per isolare la ferita dall’acqua salata della vasca, in modo da evitare che si formassero infezioni: infatti sul carapace le hanno incollato una scatola di plastica, a cui è stato tolto il fondo. In questo modo l’animale può anche essere medicato giornalmente. Vi sono altre storie di forte intensità come questa, ad esempio quella di Homerus, un’altra tartaruga femmina chiamata così dai volontari per la frattura all’omero di una delle due pinne (nelle tartarughe le fratture non si risaldano, non si forma il callo osseo), rimasta impigliata in una rete da pesca. Questo animale precedentemente aveva avuto anche una collisione con una barca, che le ha causato una frattura nella parte inferiore del carapace, abbastanza profonda da paralizzarle gli arti inferiori.
Ma non sono solo le imbarcazioni che questi animali devono fronteggiare in mare, ma anche rifiuti (plastica che viene accidentalmente ingerita), ami e lenze, pesca a strascico e palangrese.
Questo genere di storie a mio parere fa riflettere molto, e sul serio, sugli effetti degli uomini sull’ambiente, e la cosa più impressionante è stata osservare che spesso anche gli stessi abitanti dell’isola non si curavano del loro pezzo di terra e delle loro spiagge. Forse mi aspettavo al contrario un’attenzione maggiore proprio perché mi ero immaginata l’isola come una realtà a sé stante (e, nei limiti, anche un po’ auto organizzata, come di fatto è), lontana non solo geograficamente dal resto della penisola, una situazione in cui si potesse sviluppare una sensibilità diversa per certe questioni come l’ambiente.
Ho voluto riportare e
raccontare, forse in modo un po’ generico, questa mia esperienza molto positiva
perché credo che tutti i progetti di volontariato mostrino tante sfaccettature
diverse della realtà che si va a conoscere, e permettono di confrontarsi con
esse. Insomma, sono più che comuni vacanze!
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