domenica 24 febbraio 2013

Dalla Redazione: Il Prometeo diventa ONLINE!


La Redazione di Prometeo è contenta di presentare questa novità del giornalino: Prometeo diventa Online! 

Rendere il giornale online è un passo che secondo noi consente anche di avere uno scambio di opinione tra tutti gli studenti, in quanto si tratta di un blog. Inoltre, ora è più facile collaborare, chiunque può mandare articoli con facilità.  

Probabilmente non rinunceremo a fare qualche numero in cartaceo, sia per tradizione sia per non fare un salto troppo drastico.

Speriamo che la novità vi piaccia e vi spinga a collaborare con noi, ora vi auguriamo una BUONA LETTURA!

Vacanza e volontariato: due parole sul Centro di Cura e Soccorso delle Tartarughe marine a Lampedusa



Vacanza e volontariato: due parole sul Centro di Cura e Soccorso delle Tartarughe marine a Lampedusa

Nayomi Illansinhage Don – 5°O


Il volontariato può offrire una grande varietà di esperienze, e fra queste bisognerebbe tenere in considerazione anche il volontariato per gli animali. Fa ridere pensare che io quest’estate sono venuta a conoscenza di un progetto di questo tipo leggendo per caso su una delle bustine del WWF che distribuivano alla Coop, ma, al di là di questo, basta cercare su internet per trovare molte opportunità del genere.
Ad agosto ho preso parte a un progetto di volontariato presso il Centro di Cura, nell’isola di Lampedusa, dove al momento della mia permanenza erano ospitate una decina di tartarughe marine Caretta caretta.


Questa esperienza mi ha stupita e coinvolta al massimo fin da subito, a partire dal primo contatto con l’ambiente dell’isola, che comprende la conoscenza del gruppo degli altri volontari, che come me avevano scelto questa forma di vacanza, ma anche l’impatto che ha avuto il conoscere la realtà del Centro delle Tartarughe e il ruolo degli isolani, dei volontari e dei turisti.
Il Centro, come anche tutta l’attività del volontariato che lo supporta, è gestito da una donna, Daniela, e da alcuni colleghi e amici che la aiutano, ma principalmente il progetto è tenuto in vita dalla sua iniziativa e anche dalle sue personali spese finanziarie. Infatti il progetto, a quanto ho potuto vedere, non riceve fondi regolari e costanti dall’ente del WWF; nonostante questo però il Centro negli ultimi anni è cresciuto e ha stabilito una certa importanza sull’isola, anche dal punto di vista dell’interesse turistico.
Il Centro è nei pressi del porto di Lampedusa, e ogni giorno feriale dalle 17 alle 20 è aperto al pubblico, mentre al mattino i volontari si occupano della pulizia delle vasche delle tartarughe e degli ambienti del Centro, e alla sera avvengono le medicazioni degli animali, seguite e praticate da veterinari volontari.
Durante l’apertura del centro al pubblico, momento della giornata particolare e caotico, si raccolgono molte offerte libere dai turisti, soldi che servono per le numerosissime spese del Centro.
Inoltre, posizionati alle vasche delle tartarughe o in altri punti della struttura vi sono i volontari, che raccontano ai visitatori le attività e il lavoro che stanno dietro al mantenimento del Centro, e anche la storia delle tartarughe marine ospiti.

Da situazioni come questa si evince come siano fondamentali i volontari nel divulgare ai turisti e ai Lampedusiani tutto ciò che essi hanno osservato e vissuto: il racconto in prima persona da parte dei volontari delle vicissitudini delle singole tartarughe tocca nervi delicati in chi li ascolta.
Tra le storie più conosciute, vi è ad esempio quella di Amanda (nomi come questo sono stati dati dai volontari) una tartaruga femmina attorno all’età di trent’anni. In acqua, vicino a riva, Amanda si è scontrata con le pale dell’elica di un’imbarcazione, probabilmente mentre era di ritorno da una spiaggia su cui aveva deposto le uova. La collisione con la barca le ha aperto un taglio profondo circa 3 centimetri sul carapace, e le due parti di esso sono “collassate”, mostrando alla luce gli organi interni di Amanda. I veterinari del centro, appena la tartaruga è pervenuta, hanno pensato a un modo per isolare la ferita dall’acqua salata della vasca, in modo da evitare che si formassero infezioni: infatti sul carapace le hanno incollato una scatola di plastica, a cui è stato tolto il fondo. In questo modo l’animale può anche essere medicato giornalmente.
Vi sono altre storie di forte intensità come questa, ad esempio quella di Homerus, un’altra tartaruga femmina chiamata così dai volontari per la frattura all’omero di una delle due pinne (nelle tartarughe le fratture non si risaldano, non si forma il callo osseo), rimasta impigliata in una rete da pesca. Questo animale precedentemente aveva avuto anche una collisione con una barca, che le ha causato una frattura nella parte inferiore del carapace, abbastanza profonda da paralizzarle gli arti inferiori.
Ma non sono solo le imbarcazioni che questi animali devono fronteggiare in mare, ma anche rifiuti (plastica che viene accidentalmente ingerita), ami e lenze, pesca a strascico e palangrese.
Questo genere di storie a mio parere fa riflettere molto, e sul serio, sugli effetti degli uomini sull’ambiente, e la cosa più impressionante è stata osservare che spesso anche gli stessi abitanti dell’isola non si curavano del loro pezzo di terra e delle loro spiagge. Forse mi aspettavo al contrario un’attenzione maggiore proprio perché mi ero immaginata l’isola come una realtà a sé stante (e, nei limiti, anche un po’ auto organizzata, come di fatto è), lontana non solo geograficamente dal resto della penisola, una situazione in cui si potesse sviluppare una sensibilità diversa per certe questioni come l’ambiente.

Ho voluto riportare e raccontare, forse in modo un po’ generico, questa mia esperienza molto positiva perché credo che tutti i progetti di volontariato mostrino tante sfaccettature diverse della realtà che si va a conoscere, e permettono di confrontarsi con esse. Insomma, sono più che comuni vacanze!



"Prometheus": un grande film o una bufala?


"Prometheus": un grande film o una bufala? 
Gabriele Puzzo, 4N

“Le idee alla base di questo film sono uniche, vaste e provocatorie” ,

“"ci sarà una rivelazione completamente nuova all'interno del film" e “il film rivoluzionerà l’ idea di fantascienza” sono solo alcune tra le affermazioni di Ridley Scott riguardo il suo ultimo film, Prometheus, uscito nelle sale italiane con un leggero ritardo il 14 settembre scorso.

Tutte quante buonissime premesse, anzi, promesse, non c’è che dire.
Ma se alla fine di questo articolo scopriste che nessuna di queste intenzioni è stata mantenuta dal regista britannico … Cosa pensereste?

Cari lettori, vi avverto: continuate a leggere, e preparatevi a capire il perché Prometheus è la più grande delusione cinematografica dell’ anno 2012.
La trama del film si presenta in maniera piuttosto intrigante: l’ archeologo Elizabeth Shaw e il marito Charlie Holloway, dopo vari anni di ricerche, scoprono le coordinate del pianeta degli “Ingegneri”, esseri alieni che hanno creato l’ uomo. Finanziati dalle Weyland Industries, si imbarcano sulla nave spaziale “Prometheus”, per chiedere loro il perché hanno creato l’ umanità. La sala si esalta.

Infatti, l’ incipit del film è reso in maniera sublime: i personaggi vengono presentati con calma uno alla volta, sembrano avere una psicologia profonda e interessante e i misteri si rivelano più avvincenti di quello che uno avrebbe mai potuto immaginare.

Ma il problema sta dopo. Infatti, dopo neanche quaranta minuti di film, l’ intero cinema si ritrova spiazzato, confuso, arranca nel buio. Gli interrogativi vengono sbattuti in faccia allo spettatore senza ritegno, e i personaggi non si rivelano neanche lontanamente degni di un B-movie.

Come se tutto ciò non bastasse, la trama non riesce ad innalzare il livello complessivo della produzione, presentando situazioni al limite della burla. 

Infine, giungono le ultime scene del film, probabilmente la vera e propria delusione.
A questo punto, il pubblico non riesce più a pensare, tutto ciò che può fare è sorbirsi l’ accozzaglia di mediocrità e di ridicolaggine proposta dagli sceneggiatori. Personaggi che si smontano con una sola battuta, situazioni plagiate dai video di Maccio Capatonda e un cliffhanger finale penoso fanno precipitare definitivamente “Prometheus” nel profondo baratro della banalità.

Quindi quest’ opera è solo spazzatura? No. O almeno, non del tutto.
Infatti, la regia di Ridley Scott è, come sempre, a dir poco divina, ed è l’ unico elemento che riesce a tenere lo spettatore incollato allo schermo. La telecamera si muove sinuosamente attorno ai personaggi, riuscendo (con il contributo degli effetti speciali, davvero da elogiare) a superare in modo brillante la barriera della finzione, e facendo provare a noi, poveri ingenui che abbiamo acquistato il biglietto, le esatte emozioni che i personaggi si ritrovano a dover affrontare.

In conclusione, “Prometheus” è un film deludente, che non adempie a nessuno dei doveri che si era imposto in precedenza (in particolare i personaggi, che sarebbero dovuti essere uno dei punti forti della produzione, sono imbarazzanti). Nonostante ciò, offre degli effetti speciali tali da far risultare “The Avengers” un film degli anni ’20 e una regia estremamente interessante e coinvolgente. 

Fondamentalmente, tocca allo spettatore scegliere cosa preferire, se gli effetti speciali o la storia.
Fatto sta che Prometheus è la più grande bufala degli ultimi cinque anni perché ha preso in giro noi fan della fantascienza (che confidavamo sul fatto che il buon Ridley fosse capace di confezionare un film coi controfiocchi da ogni punto di vista) sin da quando è stato annunciato.

L'albero dai frutti dorati


L’albero dai frutti dorati
Carlotta Ferri, 4HT

C’era una volta una piccola casa isolata che distava un giorno di cammino dal villaggio più vicino. La casa era abitata da una famigliola di tre persone: un uomo e una donna amorevoli e il loro figlioletto che tanto amavano. Erano poveri ma non se ne facevano molta cura e si cibavano principalmente con il latte della loro magra capretta, delle loro vecchie galline, del raccolto di un misero campo e dei frutti dorati di un albero che cresceva nei pressi della casa. Ogni domenica il padre partiva verso il paesino con un cesto contenente il pranzo e la cena e là vendeva il latte e le uova avanzate e il raccolto del campo e con i soldi guadagnati manteneva le spese di tutta la famigliola.
Un giorno di domenica il brav'uomo si ammalò e non poteva intraprendere il lungo viaggio per raggiungere il paesello, così la buona madre disse al figlio:
-Và tu al mercato, perché tuo padre è malato e non può intraprendere questo viaggio-. Gli porse il cesto con il pranzo e la cena:
-Prendi questo: saranno il tuo pranzo e la tua cena. Raggiungi il paese e vendi le uova, il latte e il raccolto del campo: con i soldi che avrai guadagnato mangeremo per una settimana-.
Così il bambino, preso il cesto, si avviò fuori dalla casa e prese la via che conduceva al villaggio più vicino.
Quando tuttavia calarono le tenebre non era ancora tornato e la madre si disperò. 
-Non piangere, moglie cara- la rassicurò il marito, -Domani partirò per il paese e lo troverò-. Era infatti guarito dalla malattia durante quel giorno.
Il giorno seguente l’uomo prese una cesta con pranzo e cena e si avviò verso il villaggio più vicino per trovare il figlio.
Passavano i giorni,le settimane, i mesi ma il bambino non si trovava.
Un giorno il brav'uomo, che non aveva perso la speranza, incontrò un bambino che piangeva.
-Piccolo, perché piangi?- domandò avvicinandosi. Il bambino gli rispose:
-Circa due anni fa mi persi nel bosco mentre stavo facendo ritorno a casa. Da allora vago in cerca della strada che mi riporti dai miei amati genitori-.
-Anche io ho perduto così mio figlio. Subito partii per il villaggio in sua ricerca ma non lo trovai mai. Da allora vago in cerca del mio amato figliuolo per riportarlo a casa- disse l’uomo, poi pensò che forse quel bambino poteva essere il suo caro figlio, ma poiché erano passati due anni e non lo riconosceva, decise di fargli qualche domanda riguardo la sua casa.
-Dimmi bambino, come era fatta la tua casa?-. 
-Era una casa grande- rispose il bambino.
-E aveva un campo?- domandò l’uomo.
-Sì, un campo enorme- rispose il bambino.
-E vi cresceva affianco un albero dai frutti dorati?- chiese nuovamente l’uomo.
-Sì, un albero dai rami così alti che neanche un gigante avrebbe potuto raggiungerli- rispose di nuovo il bambino.
L’uomo scosse la testa sconsolato.
-Tu non sei mio figlio e io non sono tuo padre. La mia casa era umile, aveva un piccolo campo che serviva appena a sfamarci tutti e affianco vi cresceva sì un albero dai frutti dorati, ma dai rami bassi che mi bastava alzare un braccio per coglierne le prelibatezze- disse e si allontanò pieno di sconforto.
Passavano gli anni e l’uomo ormai vecchio decise di fare ritorno da sua moglie per confortarla nel dolore della perdita del loro amato figliolo, ma quando giunse nella sua dimora scoprì che la sua donna era morta molti mesi prima in solitudine, così riprese a vagare senza meta da un paese all’altro in cerca del suo figlio smarrito.
Un giorno incontrò un giovane forte e robusto che lo vide piangere perché ormai stava perdendo ogni speranza e gli domandò:
-Vecchio, perché piangi?-. Il vecchio gli rispose:
-Molti anni fa il mio amato figlio partì per andare al mercato e non fece più ritorno. Subito partii in sua ricerca ma non lo trovai mai. Da allora vago in cerca del mio figliolo per piangere con lui della morte della mia adorata moglie-.
-Anche io mi persi nel bosco mentre stavo facendo ritorno a casa. Riuscii soltanto pochi mesi fa a ritrovarla, ma venni presto a sapere della morte della mia adorata madre. Da allora vago in cerca di mio padre per gioire insieme al lui della mia fortuna- disse il giovane, poiché infatti si era appena sposato con una bellissima donna ed erano andati ad abitare insieme al loro figlio nella sua vecchia casa. Poi pensò che forse quel vecchio poteva essere il suo caro padre, ma poiché erano passati molti anni e non lo riconosceva, decise di fargli qualche domanda riguardo la sua casa.
-Dimmi vecchio, come è fatta la tua casa?-. 
-E’ una casa grande- rispose il vecchio.
-E ha un campo?- domandò il giovane.
-Sì, un campo enorme- rispose il vecchio.
-E vi cresce affianco un albero dai frutti dorati?- chiese nuovamente l’uomo.
-Sì, un albero dai rami così alti che neanche un gigante può raggiungerli- rispose di nuovo il vecchio. Infatti quando vi era tornato per l’ultima volta ingobbito e accorciato dagli anni aveva trovato tutto diverso.
Il giovane scosse la testa sconsolato.
-Tu non sei mio padre e io non sono tuo figlio. La mia casa è umile, ha un piccolo campo e affianco vi cresce sì un albero dai frutti dorati, ma dai rami bassi che mi basta alzare un braccio per coglierne le prelibatezze- disse e si allontanò verso casa pieno di sconforto.
Quando raggiunse la sua dimora subito gli vennero incontro sua moglie e il suo amato figliolo che lo salutò.
-Padre, avete visto che casa grande che abbiamo?!- gli disse il bambino.
-No figliolo. Questa casa è piccola, ma molto accogliente- gli rispose il padre.
-E padre, avete allora notato quel grande campo che c’è laggiù?- gli domandò il bambino.
-No figlio mio. Quel campo è piccolo e ci sfamerà a malapena- gli rispose il padre.
-Ma avete almeno guardato quel grande albero che cresce vicino alla nostra casa? I suoi rami sono così alti che nemmeno un gigante potrebbe raggiungerli!- esclamò il bambino emozionato.
Il giovane padre, ridendo per le parole del figlio, gli rispose:
-No figliolo. Quell’albero ha i rami così bassi che posso raggiungerli allungando un braccio- poi chinatosi all’altezza del figlio gli spiegava:
-E’ perché sei piccolo e basso di statura che vedi la casa grande, il campo sterminato e i rami dell’albero irraggiungibili, ma quando crescerai e diventerai un uomo la casa ti apparirà umile, il campo piccolo e i rami dell’albero a portata del tuo braccio-.

FdS, La federazione degli studenti


"La federazione degli studenti (FdS)"
 Pierpaolo Greco IID  




Carissimi amici e compagni del Liceo Galvani, 
anche l’anno scolastico 2012-2013 è cominciato con il ritmo davvero frenetico, ripetitivo ma necessario, dello studio, ponendo di fronte a noi nuove conoscenze, esperienze, sogni e obiettivi da raggiungere. Tutto ciò in un contesto generale molto difficile, in cui  la società italiana non sembra ancora decisa ad offrirci la possibilità di confronto sui temi che ci riguardano più da vicino e a valorizzare il nostro futuro, considerandoci inesperti, ingenui e, nella peggiore delle ipotesi, incapaci di risolvere i tanti problemi che si presentano. La conseguenza è che noi giovani stiamo continuando a perdere le nostre certezze e le nostre convinzioni e, davanti ad una realtà così complicata costituita da incredibili ingiustizie, i sentimenti che prevalgono sono la rabbia e soprattutto la rassegnazione, lo scoraggiamento, con la consapevolezza che le cose non possano mai cambiare perché, qualora si tenti eventualmente di farlo,  si viene subito fermati e obbligati ad adeguarsi a sistemi di pensiero e mentalità che vengono predicati come una verità indiscutibile e insormontabile. 
Io  mi sento di dire che niente è impossibile se lo si vuole ottenere davvero e che spesso i giovani sono il contrario di come vengono descritti; noi, ragazzi che viviamo nell’era digitale, abbiamo numerose potenzialità tra cui una grande apertura mentale, disponibilità e in modo particolare una instancabile fantasia. La voglia di fare non ci manca mai, come non intendiamo anche rinunciare a stare insieme, condividere passioni e a metterci sempre alla prova. Allo stesso tempo, però, queste parole, certamente a mio modo di vedere condivisibili, si  sentono ripetere quotidianamente, ogni volta che si tratta l’argomento dei giovani e del loro futuro…; pertanto se veramente vogliamo costruire un solido futuro, è arrivato il momento di passare dalle parole ai fatti. 
Il mio articolo è oggi dedicato alla presentazione di F.d.S (FEDERAZIONE DEGLI STUDENTI).
La Federazione degli Studenti è un’organizzazione studentesca di carattere nazionale nata circa un anno e mezzo fa, che ha l’obiettivo di coinvolgere tutti gli studenti delle scuole superiori d’Italia , sensibilizzandoli a progetti molto importanti per la nostra crescita e formazione culturale, quali ad esempio:
  • Diffondere la conoscenza dello “Statuto dello Studente” da tempo dimenticato ma fondamentale in quanto sottolinea i diritti e i doveri degli studenti.
  • Valorizzare l’insegnamento dell’Educazione Civica e in particolare approfondire i temi legati alla nostra Costituzione.
  • Creare un collegamento con le scuole superiori di molti paesi europei, in modo da poter mettere a confronto il sistema scolastico e dunque migliorarne a vicenda gli aspetti. A tale proposito, pensiamo in primo luogo di partire dalle testimonianze di tutti i ragazzi che hanno sperimentato realtà di studio diverse dalle nostre, grazie alle possibilità dell’anno all’estero e degli scambi scolastici.
  • Interagire in maniera innovativa con il mondo dell’Università cercando di rapportarci con gli stessi studenti universitari i quali, affiancando gli attuali professionisti coinvolti nell’attività di orientamento poiché già inseriti nel mondo del lavoro, potranno fornirci una chiave di lettura a noi più vicina e chiarirci il funzionamento del mondo universitario al fine di aiutarci nelle nostre future scelte di studio.

Infine non può mancare il ruolo ricreativo della Fds che, oltre alle iniziative culturali, vuole anche dare maggiore spazio in ambito musicale alle band emergenti di giovani appassionati, organizzando eventi di ritrovo, dove la protagonista sia la musica.
A Bologna, città in cui Fds ha fatto da poco il suo ingresso, la stessa federazione sta attivando un contatto web e si sta preparando ad aprire una sede dove i ragazzi si potranno riunire per mettere a punto le loro idee e progetti, che saranno tanto più realizzabili quanto maggiore saranno la partecipazione, il dialogo e la condivisione. Tutto ciò in nome di uno scopo comune: tornare a far sentire la nostra voce in maniera pacifica e consapevole. La Federazione degli Studenti di Bologna è dunque lieta di collaborare con i futuri rappresentanti d’istituto della nostra scuola, per mostrare e realizzare i progetti in campo.
Per tutti i ragazzi che vorranno impegnarsi in questo grande progetto potranno sicuramente contattarmi su facebook.
Partecipate numerosi!
                                                                                                                                               

Brano carnè


“Brano carnè”

racconto di Eleonora Bitti 4I 

Una finestra.

Il mio mondo ormai è una finestra. Una finestra di medie dimensioni, verniciata di quel bianco triste che un buon arredatore non sceglierebbe mai e con quelle specie di tapparelle o tendine di plastichina verde perennemente impolverate, che solo a sfiorale rischi un taglio che ti spedisce diretto al secondo piano, seconda porta a destra, reparto “emorragie”. La mia finestra si intona alla perfezione con il resto della stanza: un letto pieno di cuscini bianchi, un triste tavolino bianco sporco, un comodino affollato da libri che danno un po' di vivacità a questa stanza pallida. Una volta lessi che alla maggior parte degli adolescenti il bianco trasmetteva inquietudine, ora capisco perché. Però in fondo questa finestra è il mio mondo, qualcosa di immensamente più potente della televisione, che mi tiene compagnia insieme a pagine ricoperte da inchiostro, parole su parole che si accavallano fino a formare frasi, paragrafi, capitoli che tutti insieme danno vita ad un'avventura. 
E' attraverso i libri e la finestra che riesco a vivere. 

Tutte le mattine, esattamente alle nove meno un quarto, spunta correndo da dietro un faggio un bambino, che non è mai in ordine: per esempio ieri aveva un paio di scarpe una diversa dall'altra, invece giovedì indossava sciarpa e cappello pur essendo in primavera, e questa mattina non aveva lo zaino. Dopo circa un minuto che corre tra gli alberi, arriva tutta trafelata una donna, che presumo sia la madre, con in mano una quantità di roba che ha disseminato il figlio durante il tragitto. Ecco, questa è una scena che mi mette sempre un po' di nostalgia, il bambino che ormai non sono più e l'affetto che non potrò mai dare. Correre spensierato tra gli alberi magari con una palla da calcio tra i piedi, senza aver paura di cadere, di prendere freddo, di stare male. Sono tutte sensazioni che un po' mi mancano, piccole cose a cui la gente non da attenzione, ritenendole qualcosa di normale, se solo si soffermassero tutti un attimo si accorgerebbero dell'immensa bellezza di un mondo che pian piano stiamo perdendo.
Per il resto della mattinata di solito leggo un po' ed improvvisamente divento un giovane eroe nel pieno delle sue forze e mi immergo trai profumi di terre lontane, oppure mi trasformo in un detective che cerca di vincere contro la scaltrezza del colpevole. Quando sfoglio quelle pagine, è come se non fossi più io, il tempo non scorre e mi ritrovo in un'altra dimensione, fuori da questa stanza bianca.

Ogni tanto mi addormento per poi svegliarmi nella calura del primo pomeriggio e mi fermo ad ascoltare, attraverso la finestra, i messaggi che mi trasmette il mondo. Dal canto di un uccellino, alle risate dei bambini della scuola che giocano nel cortile qui vicino, fino alla musica lontana di un flauto, non sono ancora riuscito a capire chi lo suoni, probabilmente non riesce ad entrare nel raggio di azione della mia finestra. 
Ultimamente le palpebre mi si chiudono solo dopo un capitolo, allora capisco di dover apprezzare ancora di più i pochi momenti di lucidità che mi restano, mi fermo ad osservare i visitatori di questo enorme edificio bianco e, tra i tantissimi occhi tristi, ogni tanto riesco scorgere qualcuno felice che magari dopo anni di terapie è riuscito a riportare il figlio a casa. Tra i miei libri, la finestra e i controlli quotidiani arriva finalmente la sera, e con lei il cibo dell'ospedale rigorosamente servito su un vassoio bianco. Cerco sempre di sorridere e apparire felice, ma in realtà sto perdendo la forza di combattere contro questo male invisibile che mi travolge.

E' tardi, sono stanco, ma se mi addormento perdo tempo prezioso, tempo per leggere, sognare,  per respirare. E' il tempo che mi manca, il tempo di fare le cavolate da ventenne, di fare sport con gli amici, di studiare, di infamare i professori, di sposarmi, di diventare grande. Mi manca il tempo. Ed è inutile che i medici cerchino di infondere ai miei false speranze perché io lo so che il mio orologio sta per battere l'ultimo rintocco. Non riesco più a resistere alle dolci parole che questo letto bianco mi sussurra per farmi addormentare... chissà se domani mattina, dalla mia finestra bianca, vedrò di nuovo il bambino che corre tra gli alberi.





Giochi tappabuchi:
I bracconieri
Gioco per Lupetti
Un Lupetto è il bracconiere, un altro il guardiacaccia. Il bracconiere non sa qual è il guardiacaccia.
Tutti i Lupetti sono disposti in cerchio (largo), al centro del quale è disposto lo scalpo (lepre). Il bracconiere dovrà:
1. Uscire dal proprio posto, fuori dal cerchio
2. Entrare nel cerchio. I due Lupetti tra cui il bracconiere è entrato alzeranno il braccio per indicare il "buco"
3. Prendere la lepre
4. Uscire dal cerchio, passando per il "buco" dal quale era entrato
5. Tornare al proprio posto
Il guardiacaccia, che è un Lupetto del cerchio ignoto al bracconiere, lo deve cogliere in flagrante: questo significa che il guardiacaccia potrà uscire dal proprio posto solo quando il bracconiere avrà messo le mani sulla lepre. E' proprio a questo punto che scatta l'inseguimento: il guardiacaccia deve toccare il bracconiere prima che questi ritorni a posto.
In ogni caso il guardiacaccia non può entrare nel cerchio: deve quindi inseguire il bracconiere al di fuori di esso.
Il segugio e il cacciatore
Gioco per Lupetti
Lupetti in cerchio. La lepre scappa, il segugio la deve catturare (toccare). Però mentre la lepre può fare un percorso qualsiasi, entrando ed uscendo dal cerchio, il segugio deve seguire esattamente il percorso della lepre.
Al fischio il segugio e la lepre si invertono istantaneamente le parti (il nuovo segugio, l'ex-lepre, dovrà seguire solo il percorso della nuova lepre, l'ex-segugio).
Sardine
E' uguale a nascondino solo che avviene il contrario. Un bambino si nasconde e tutti lo cercano, chi lo trova si nasconde insieme a lui (nello stesso posto). Il gioco finisce quando rimane solo un bambino in giro che non ha trovato gli altri.

                L'allegra fattoria
N. di giocatori: da 10 a 999
Durata media: 10 minuti
Tipo: scherzo;
Ci troviamo nell'allegra fattoria dove ci sono tanti animletti in cerchi...
ognuno di noi è un animaletto e ognuno serve a "sostenere" l'altro.
L'animatore sussurra nell'orecchio di ciascun ragazzo il propio animale(che
deve essere segreto)facendo credere che ci sono 2 o 3 galline, 2 pecore, 2
miali, 1 cavallo ecc ecc e invece dovrà assegnare 2 o 3 galline, 1 cavallo, 2
maiali e tutte le altre pecore. L'animatore, stabiliti gli animaletti per tutti,
deve far fare un cerchio tenuto "sottobraccio" in modo da essere molto legati
e quando chiama le galline, le galline alzano i piedi e fanno il verso, e gli
altri devono sostenerli con la forza, poi chiama i maiali e poi il cavallo...
quando chiama le pecore cadono tutti a terra come...sacchi di patate.
Vince chi... perdono tutte le pecore.

Naufraghi 1
Durata media: 20 minuti
Gioco da giocare... all'aperto e al chiuso

Un gruppo di naufraghi vega nel mare sopra alcune zattere, il soffio del
vento ne ruba una alla volta!!!
Ogni giocatore è seduto su una zattera (foglio di giornale). Quando parte la
musica i giocatori devono correre nel mare (campo da gioco), allo stop i giocatori
devono rifugiarsi su una zattera. L'animatore (il vento) ruberà ogni
volta una zattera: IL naufrago che rimane senza zattera viene eliminato.
Vince chi... rimane per ultimo nel mare.
Materiale necessario: fogli di giornale, registratore

L'INVASIONE DEGLI UOMONI-MOSCA (grande gioco)

materiale: fetucciato
                  bende per coprirsi gli occhi
                  palline di giornale/scotch
                  ciappetti
                  vite
A causa di un esperimento genetico una serie di uomini hanno subito una metamorfosi trasformandosi in uominimosca.

Lancio: ragazzi (tranne chi deve spiegare il gioco) si mettono in riga, davanti
al quadrato, strofinando le mani come sono solite fare le mosche. Questo per un minuto, in silenzio totale. Poi, a un segnale convenuto, tutti gli uomini-mosca "esplodono" nelle varie direzioni, emettendo un ronzio: bzzzzzz...
Rimane solo chi deve spiegare il gioco. A causa di un esperimento genetico, c'è stata una invasione di uomini-mosca.
Un solo animale può sconfiggerli: sono gli uomini-ragno. Perciò è necessario scegliere, nel gruppo, i migliori uominiragno per poter svolgere una missione tanto delicata.

Spiegazione:A tal fine il Gruppo si divide in due squadre. Gli aspiranti uomini-ragno di ciascuna squadra devono passare un periodo
di allenamento, per diventare uomini-ragno a tutti gli effetti, pronti e attivi:
Devono imparare a spostarsi lungo i fili di una ragnatela.

1 PROVA: Per far ciò dovranno compiere un percorso (magari piuttosto impervio) predisposto, lungo o accanto un nastro bianco-rosso. Questo dividendosi in coppie: una persona, bendata,
deve camminare; l'altra, a cavalcioni sulla prima, la deve dirigere.

2 PROVA:Devono imparare ad acchiappare le mosche al volo. A tal fine la squadra si dividerà in due gruppi, a debita distanza,
muniti di un certo numero di pallette di scotch da pacchi/ giornale. Devono tirarsi le pallette tra i gruppi, prenderle al volo e consegnarle (magari metterle in un recipiente). Le palline che non riusciranno a prendere al volo potranno raccoglierle e ritirarle. Alla fine del tempo a disposizione si conterà quante pallette sono state prese al volo. 
A seconda del modo in cui ogni prova è stata passata, si consegnerà alla squadra un certo numero di vite. Quindi ciascuna squadra farà l'altra
prova (entrambe devono avere la stessa durata!) Al termine di questa fase "preliminare" avviene la battaglia vera e propria. BATTAGLIA:Ogni squadra si divide in gruppi da cinque persone: gli uomini-ragno. Ogni ragno è formato da un corpo centrale, a cui sono legate per mezzo di un cordino
quattro zampe. Inoltre ogni squadra avrà una base, in cui si trovano tutte le vite conquistate. Il campo da gioco
(ovvero la distanza tra le basi) dovrebbe essere piuttosto grande;
Scopo del gioco è quello di conquistare le vite degli avversari, prelevandone una alla volta dalla base avversaria per poi portarne, sempre una per una, nella propria. Se la zampa di un ragno riesce a inciappettare la testa del corpo centrale di un ragno dell'altra squadra, quest'ultimo è costretto a cedere la vita che sta portando; solo se la possiede con sé.
Al termine del gioco si contano le vite.


Derrik Rose e la mucca piromane


“Derrick Rose e la mucca piromane”

di Cosimo Sarti, 5O


"One dark night, when people were in bed,
Mrs. O' Leary lit a lantern in her shed,
The cow kicked it over, winked its eye, and said,
There'll be a hot time in the old town tonight."

No, non sono sull'orlo della follia. Bene, fugati i primi dubbi, passiamo alla seconda domanda che vi sarete posti: cosa c'entrano le mucche piromani con Derrick Rose e i suoi Bulls? Domanda leggittima di cui capirete la risposta più avanti, leggendo la storia sul Great Chicago Fire che sto per raccontare.
Verso la metà del 1800, Chicago era la città più in crescita degli Stati Uniti, affacciata sui grandi laghi del Nord America, crocevia ferroviario fra l'Est industrializzato e l'Ovest ricco di materie prime, era destinata a diventare una delle città più importanti del paese. L'8 Ottobre 1871 però qualcosa andò storto. Prima di finire il racconto, facciamo un salto in avanti fino alla stagione NBA 2012, giusto per tenervi un po' sulle spine. Chicago ha il miglior record dell' NBA nonostante diversi infortuni durante la stagione e, giusto in tempo per l'inizio dei playoff, tutti sono arruolabili agli ordini di coach Tom Thibodeau. Quest'anno nessuno sembra poterli fermare, forti della miglior difesa della lega, di una panchina profonda e di Derrick Rose, “The Windy City Assassin”, così soprannominato per la straordinaria abilità nel finire gli avversari negli ultimi minuti delle partite. Il titolo sembra essere ampiamente alla portata, ma anche in questo caso qualcosa va storto, il 28 Aprile 2012. Il legamento crociato sinistro di Rose cede, lui cade e trascina con sé ogni speranza di vittoria finale: starà fuori dieci lunghissimi mesi e assisterà impotente alla sconfitta della squadra al primo turno. Torniamo ora alla mucca della signora O'Leary la sera dell'8 Ottobre 1971. La leggenda vuole che la suddetta mucca abbia fatto cadere una lampada a olio, facendo divampare un terribile incendio che, ardendo fino al 10 Ottobre, ha raso completamente al suolo la  giovane città e mietuto centinaia di vittime, distruggendo le speranze dei suoi laboriosi abitanti superstiti. Eppure, all'alba del 12 Ottobre, l'editoriale del Chicago Tribune recita così:

CHEER UP.
In the midst of a calamity without
parallel in the world's history, look-
ing upon the ashes of thirty years'
accumulations, the people of this once
beautiful  city have resolved that
CHICAGO SHALL RISE AGAIN.

In pochi anni Chicago venne ricostruita con edifici più moderni e solidi, e, come tutti prevedevano, crebbe fino a divenire una grande città ricca e popolosa prima dell'inizio del ventesimo secolo, nonostante l'incendio che l'aveva messa in ginocchio.
Manca meno di un mese al ritorno di Derrick Rose dopo mesi di durissima riabilitazione, in cui i suoi compagni hanno tenuto la squadra al passo con le migliori ad Est, mostrando lo spirito combattivo proprio degli abitanti della città. Presto (o tardi, la data è sconosciuta, potrebbe anche trattarsi della prossima stagione) scenderà in campo al loro fianco anche Rose, e chissà che anche lui non torni più forte di prima, proprio come la sua città natale dopo l'incendio. Se così fosse, potrebbe essere l'inizio di un nuovo viaggio verso le Finals e verso quel titolo che manca ormai da quindici anni ai Bulls: CHEER UP, CHICAGO SHALL RISE AGAIN. Mucche piromani permettendo.

FEMEN: perché dire NO è un diritto


FEMEN : perché dire NO è un diritto.
di Ran Ceretta
       

Mercoledì 3 Ottobre, a Parigi, 7 membri del movimento di protesta non-profit Femen hanno manifestato nel museo del Louvre davanti alla Venere di Milo, l’ immagine della bellezza classica per definizione. 
Le sette donne, sei francesi e la 22enne ucraina Inna Shevchenko rifugiata in Francia per timore di persecuzioni nel suo paese, si sono introdotte nel museo fingendosi turiste; poi, hanno scavalcato le recinzioni attorno alla celebre statua ellenica e, come da tradizione al Femen, sono rimaste in topless con scritte sul corpo e cartelloni per rappresentare il loro dissenso riguardo allo stupro di una ragazza tunisina 27enne avvenuto agli inizi di settembre. I cartelli umani attorno alla Venere volevano gridare a pieni polmoni un NO deciso verso qualsiasi genere di violenza sulle donne e opporsi all’integralismo degradante di certi paesi musulmani. Tra le scritte più incisive sul corpo delle manifestanti ricordiamo: “ Abbiamo mani per fermare la violenza”, “Lo stupro è un crimine”,  “ Giustizia contro gli stupratori”, “ No vuol dire no”  e “ Colpevole di essere una donna”.
 Le attiviste, in seguito, hanno appeso sulla Venere di Milo uno striscione che recitava:” Stupratemi, sono immorale”.
Dopo pochi minuti, il personale di sicurezza del museo è intervenuto per rimuovere il cartello e far allontanare le ragazze che, come sempre, sono state mandate via in malo modo o arrestate.

La ragazza per la quale si è manifestato era stata violentata da tre poliziotti dopo essere stata fermata perché si trovava - secondo la testimonianza degli stupratori - in un "atteggiamento immorale" con il suo fidanzato. Ora la ragazza sta affrontando il processo in cui si trova imputata per oltraggio al pudore. La mattina del processo, 200 manifestanti si sono ritrovati davanti al tribunale di Tunisi per mostrare il loro appoggio alla giovane che, a detta dei suoi avvocati, ha deciso di battersi. I manifestanti hanno mostrato cartelli e striscioni sui quali era scritto "Rivoluzione rubata, donna velata, ragazza violentata" (in francese i tre verbi sono molto simili e creano una bella consonanza:  'voler, voiler, violer').
La ragazza, durante un’intervista, ha fatto notare al mondo la situazione orribilmente paradossale che è costretta ad affrontare, infatti, ci dice:  "Nel mio paese la polizia mi violenta e la giustizia mi accusa".

Il Femen è un movimento di protesta fondato a Kiev, Ucraina, nel 2008 da Anna Hutsol. Certi lo definiscono una nuova forma di femminismo; infatti, i suoi membri, per lo più ragazze di 18-20 anni, manifestano per le strade, le piazze, nei musei e negli edifici pubblici, sempre rigorosamente in topless, contro il sessismo, la violenza sulle donne, il turismo sessuale e altre discriminazioni sociali che, per molti anni, hanno compromesso l’immagine dell’ Ucraina. La fondatrice del movimento ha giustificato i suoi metodi provocatori affermando che quello di spogliarsi "è l'unico modo per essere ascoltati in questo paese. Se avessimo manifestato con il solo ausilio di cartelloni le nostre richieste non sarebbero state nemmeno notate". Riguardo l'utilizzo del corpo femminile come mezzo per attirare l'attenzione mediatica ha affermato: "Mi sono resa conto che il femminismo tradizionale qui in Ucraina non avrebbe attecchito, né con le donne né con la stampa e tanto meno con la società. Ho fondato Femen perché ho capito che nella nostra società mancavano donne attiviste; l'Ucraina è maschilista e le donne, per ora,  hanno un ruolo passivo”.
Durante un'intervista del quotidiano britannico The Guardian, inoltre, Inna Shevchenko, una delle maggiori rappresentanti del movimento, ha affermato che il togliersi gli indumenti durante le proteste serve affinché "le persone possano vedere che non abbiamo armi, eccetto i nostri corpi" e che questo comportamento, "in un mondo che appartiene agli uomini", è l'unico per "provocarli e catturare l'attenzione di tutti".
Lo scopo del centro è combattere le discriminazioni a livello globale, espandendo il Femen nelle metropoli del mondo, come Parigi, New York, Montréal e San Paolo.
Già dall'aprile del 2010 il movimento stava considerando l'idea di diventare un partito politico per partecipare attivamente alle elezioni parlamentari, i suoi membri contano di diventare il più grande partito femminista del mondo. 


Le donne del Femen sfruttano il loro corpo per richiamare l’attenzione, ma non su loro stesse, bensì su quello che hanno da dire; non sono belle ragazze che si esibiscono nude, ma donne che vogliono imprimersi nella memoria della gente, che vogliono cambiare l’immagine della donna-prostituta in certi paesi(Ucraina) e combattere per il concetto di donna-persona in altri (Tunisia, paesi integralisti musulmani).
Ho grande stima di queste donne e non mi soffermerei sul fattore nudità della loro politica, se così vogliamo chiamarla; non importa se siano vestite, svestite, con scritte sul corpo o ghirlande di fiori in testa, ciò che è davvero importante è che sono donne coraggiose, che non hanno paura di esporsi per quello in cui credono e di lottare per ciò che per molti è meglio non sentire, non vedere e di cui non si deve nemmeno parlare. Queste giovani attiviste, queste pioniere del femminismo moderno affrontano i problemi letteralmente di petto, in modo provocatorio, ma con un qualcosa di spensierato e sbarazzino che stupisce e, allo stesso tempo, fa riflettere e sorridere. La loro non è un’esposizione di corpi, ma di idee, è un modo innovativo e creativo di battersi per i propri ideali e diritti in quanto donne. 
La cosa migliore è che sono donne qualsiasi che hanno qualcosa da dire, anzi da urlare, nude, in mezzo alle piazze; non tutte sono belle, non tutte sono magre, non tutte sono giovani, con un bel viso e con bei capelli, sono donne,
donne e basta. 

L'uomo sale sul carro vincitore del libero arbitrio


L'uomo sale sul carro vincitore del libero arbitrio
Daniele Grillo

Se scrivessero un libro intitolato “ Le cento domande essenziali che l’uomo si pone” , nella prima pagina troveremmo sicuramente un quesito essenziale: “ L’uomo è libero di scegliere? La libertà si può configurare come libero arbitrio?”, ma la risposta si troverebbe solamente alla fine delle “cento domande” proposte.
Per poter esporre un legittimo parere, bisogna assolutamente confrontare il concetto di Libertà umana durante il Medioevo e quello durante l’umanesimo, analizzando il cambiamento del pensiero in questi secoli.

Quando il concetto di “Cristianitas” si andava diffondendo in Europa, i grandi padri della chiesa, si interrogavano su quale libertà avesse concesso Dio all’uomo e, primo fra tutti, Sant’Agostino provò, nelle sue “ Confessioni”, a interrogarsi su questo quesito. Egli credeva che il Signore potesse compiere solo il bene, quindi, il fondamento ontologico della realtà diveniva il bene, che si configurava con Dio stesso e difatti egli creò il mondo per amore dell’uomo. Gli concesse uno dei più grandi doni, la libertà, che, però, non è il libero arbitrio di scegliere se compiere il bene o il male, in quanto Dio ha concepito l’uomo “ A sua immagine e somiglianza” proprio per pensare il bene. La libertà umana, secondo Agostino, consiste nel mantenersi nella rettitudine della volontà per amore della volontà stessa, in quanto essa è libera, retta e operante a fin di bene. Ma allora perché l’uomo compie il male? Ciò significa che egli può andare oltre quella libertà concessa da Dio e trasformarla in libero arbitrio? Assolutamente no: il male in Sant’Agostino diventa un non-essere, in quanto Dio non può operare il male; l’uomo è capace di peccare perché cade in un oblio che inverte ciò che il Signore ha creato per l’uomo, cioè gli esseri umani peccano a causa del depotenziamento della loro volontà, perdono, quindi, la loro libertà di compiere il bene e scendono nell’oscurità del male. Spetterà, infine, a Dio stesso decidere la salvezza dell’anima umana: l’uomo sulla terra non può assolutamente influenzare il disegno divino della salvezza, cioè si salva ottenendo la grazia, ma non può con le sue facoltà alterare i progetti trascendenti. Ecco che l’uomo è libero solo di seguire la rettitudine, per il resto, come dirà Lutero molti secoli dopo nel suo “ De Servo Arbitrio” , riprendendo la drammaticità agostiniana, “ L’uomo è l’uomo, e quindi condizionato e dipendente da Dio […] i suoi sforzi e i suoi propositi non servono a nulla, ma la sua salvezza dipende unicamente dalla decisione e dall’azione di Dio”.  Con poche parole, si può affermare che nel medioevo il libero arbitrio non esiste,  l’uomo è servo della volontà divina ed è libero solamente di compiere ciò che dio gli ha concesso : il bene.

Tutto, però, cambia, quando arrivano gli umanisti, che, definendo oscurantismo il medioevo, portano avanti l’antropocentrismo. L’uomo, così, diventa il padrone dell’universo, colui che con le sue forze intellettive e conoscitive può dominare il mondo. Egli diventa il “ Faber ipsius fortunae”, cioè l’artefice del proprio destino , colui che “ fa e determina la storia”, come, appunto, afferma il grande studioso Eugenio Garin: “ Quei settecento anni di tenebre […] in cui sembrava affievolita la consapevolezza della storia come farsi umano. La scoperta del mondo antico e la scoperta dell’uomo significò senso dell’opera terrena e della responsabilità”  . Requisito fondamentale delle proprie facoltà è il libero arbitrio, cioè l’autonomia individuale di scelta. 

Tutto questo porta a essere in contrasto con Dio? No, perché, concentrandosi sull’essere umano, si va a creare un nuovo rapporto con la divinità, la cosiddetta “ Devotio moderna”. Essa consiste in un legame più diretto e intimo con Dio, che non è più il Dio giustiziere Agostiniano-Luterano, bensì è colui che ha concesso la libertà, intesa come autonomia decisionale. 
Dio ha posto l’uomo al centro del mondo per permettergli di contemplare tutto quanto e ha posto nelle sue mani l’arbitrio, ciò significa, quindi, che l’essere umano ora potrà scegliere se compiere il bene oppure degenerare. Questo importantissimo concetto, novità assoluta del pensiero umanista, lo si può spiegare meglio, citando un passo della “Creazione dell’uomo”, contenuto nella "Dignità dell'uomo" di Giovanni Pico della Mirandola: "Adamo, non ti diedi una stabile dimora, né un'immagine propria, né alcuna peculiare prerogativa, perché tu devi avere e possedere secondo il tuo voto e la tua volontà quella dimora, quell'immagine, quella prerogativa che avrai scelto da te stesso”. Avendo l’uomo acquisito il libero arbitrio tanto desiderato , ora ha in mano il proprio destino, la propio vita.

 Però ci si pone davanti un ulteriore interrogativo :  Di chi è la responsabilità delle disgrazie umane? Gli uomini di quel tempo affermavano che la colpa della loro rovina, fosse una forza esterna, la fortuna. Gli umanisti, però, controbbattevano affermando che gli uomini che si lasciano “sballottare” dalle onde tempestote della fortuna sono stolti, loro stessi si sono gettati in quel mare in burrasca a causa della loro incapacità di decisione. All’interno di una libertà, in cui l’uomo decide di se stesso, bisogna salire sul carro dei vincitori,collaborando col proprio destino, e non si deve assolutamente essere schiavi del carro della fortuna. Gli umanisti, difatti, non negavano la sua esistenza, solo pensavano che essa non avesse il potere di “ Vincere chi non voglia essere vinto . Tiene gioco la fortuna solo a chi se gli sottomette”, come decanta con chiarezza Leon Battista Alberti nei sui “Libri della Famiglia”. Quindi le grandi e potentissime facoltà umane, l’operosità, la saggezza delle decisioni e la scrupolosità di eseguirle portano l’uomo a compiere, direbbe Agostino, il bene, contrariamente chi non usa le proprie armi e si lascia persuadere dalla cattivere, dal piacere incontrollato e dall’avidità demoliscono tutto ciò che è stabile, cadendo nelle mani della fortuna, compiendo quindi quel traviamento  che , sempre Agostino, definirebbe il male. Una volta caduto in quelle onde , però, l’uomo può, grazie alle proprie opere, ritornare ai retti desideri che ornano l’animo umano. Tutto ciò viene consolidato nella dottrina di Erasmo Da Rotterdam, padre della “ Devotio Moderna” intitolato “ De Libero Arbitrio”, nella quale, con la sua libertà di scelta, l’uomo collabora alla realizzazione della propria salvezza.

Volendo concludere questa riflessione sul concetto di libertà durante il Medioevo e l’umanesimo, si può finalmente fornire una risposta legittima al quesito che il nostro ipotetico libro delle “ cento domande” aveva proposto. Essa sarà senza alcuna ombra di dubbio affermativa: L’uomo è libero di scegliere, e la libertà si può configurare con il libero arbitrio, ma egli deve stare attento a usare nel giusto modo il proprio ingegno in modo da non degenerare. Questo importantissimo concetto deriva da un lungo percorso che vede nella drammaticità della condizione umana corrotta dal peccato il primo passo verso la rivalutazione delle capacità umane. La moderna libertà si basa dunque su un radicale cambiamento di pensiero; senza quel medioevo e quell’umanesimo non giungeremo mai dove ora la libertà è arrivata.



BIBLIOGRAFIA:

Joseph Lortz e Erwin Iserloch “ Storia della riforma ” il Mulino , Bologna 1974, PP.97-104;
Eugenio Garin “L’umanesimo Italiano” (1952), Laterza, Bari-Roma, 1994 PP. 19-22:
Giovanni Pico della Mirandola “ La dignità dell’uomo” ed.libera;
Leon Battista Alberti “ Libri della famiglia “ Prologo 39-253