“Brano carnè”
racconto di Eleonora Bitti 4I
Una finestra.
Il mio mondo ormai è una finestra. Una finestra di medie dimensioni, verniciata di quel bianco triste che un buon arredatore non sceglierebbe mai e con quelle specie di tapparelle o tendine di plastichina verde perennemente impolverate, che solo a sfiorale rischi un taglio che ti spedisce diretto al secondo piano, seconda porta a destra, reparto “emorragie”. La mia finestra si intona alla perfezione con il resto della stanza: un letto pieno di cuscini bianchi, un triste tavolino bianco sporco, un comodino affollato da libri che danno un po' di vivacità a questa stanza pallida. Una volta lessi che alla maggior parte degli adolescenti il bianco trasmetteva inquietudine, ora capisco perché. Però in fondo questa finestra è il mio mondo, qualcosa di immensamente più potente della televisione, che mi tiene compagnia insieme a pagine ricoperte da inchiostro, parole su parole che si accavallano fino a formare frasi, paragrafi, capitoli che tutti insieme danno vita ad un'avventura.
E' attraverso i libri e la finestra che riesco a vivere.
Tutte le mattine, esattamente alle nove meno un quarto, spunta correndo da dietro un faggio un bambino, che non è mai in ordine: per esempio ieri aveva un paio di scarpe una diversa dall'altra, invece giovedì indossava sciarpa e cappello pur essendo in primavera, e questa mattina non aveva lo zaino. Dopo circa un minuto che corre tra gli alberi, arriva tutta trafelata una donna, che presumo sia la madre, con in mano una quantità di roba che ha disseminato il figlio durante il tragitto. Ecco, questa è una scena che mi mette sempre un po' di nostalgia, il bambino che ormai non sono più e l'affetto che non potrò mai dare. Correre spensierato tra gli alberi magari con una palla da calcio tra i piedi, senza aver paura di cadere, di prendere freddo, di stare male. Sono tutte sensazioni che un po' mi mancano, piccole cose a cui la gente non da attenzione, ritenendole qualcosa di normale, se solo si soffermassero tutti un attimo si accorgerebbero dell'immensa bellezza di un mondo che pian piano stiamo perdendo.
Per il resto della mattinata di solito leggo un po' ed improvvisamente divento un giovane eroe nel pieno delle sue forze e mi immergo trai profumi di terre lontane, oppure mi trasformo in un detective che cerca di vincere contro la scaltrezza del colpevole. Quando sfoglio quelle pagine, è come se non fossi più io, il tempo non scorre e mi ritrovo in un'altra dimensione, fuori da questa stanza bianca.
Ogni tanto mi addormento per poi svegliarmi nella calura del primo pomeriggio e mi fermo ad ascoltare, attraverso la finestra, i messaggi che mi trasmette il mondo. Dal canto di un uccellino, alle risate dei bambini della scuola che giocano nel cortile qui vicino, fino alla musica lontana di un flauto, non sono ancora riuscito a capire chi lo suoni, probabilmente non riesce ad entrare nel raggio di azione della mia finestra.
Ultimamente le palpebre mi si chiudono solo dopo un capitolo, allora capisco di dover apprezzare ancora di più i pochi momenti di lucidità che mi restano, mi fermo ad osservare i visitatori di questo enorme edificio bianco e, tra i tantissimi occhi tristi, ogni tanto riesco scorgere qualcuno felice che magari dopo anni di terapie è riuscito a riportare il figlio a casa. Tra i miei libri, la finestra e i controlli quotidiani arriva finalmente la sera, e con lei il cibo dell'ospedale rigorosamente servito su un vassoio bianco. Cerco sempre di sorridere e apparire felice, ma in realtà sto perdendo la forza di combattere contro questo male invisibile che mi travolge.
E' tardi, sono stanco, ma se mi addormento perdo tempo prezioso, tempo per leggere, sognare, per respirare. E' il tempo che mi manca, il tempo di fare le cavolate da ventenne, di fare sport con gli amici, di studiare, di infamare i professori, di sposarmi, di diventare grande. Mi manca il tempo. Ed è inutile che i medici cerchino di infondere ai miei false speranze perché io lo so che il mio orologio sta per battere l'ultimo rintocco. Non riesco più a resistere alle dolci parole che questo letto bianco mi sussurra per farmi addormentare... chissà se domani mattina, dalla mia finestra bianca, vedrò di nuovo il bambino che corre tra gli alberi.
Giochi tappabuchi:
I bracconieri
Gioco per Lupetti
Un Lupetto è il bracconiere, un altro il guardiacaccia. Il bracconiere non sa qual è il guardiacaccia.
Tutti i Lupetti sono disposti in cerchio (largo), al centro del quale è disposto lo scalpo (lepre). Il bracconiere dovrà:
1. Uscire dal proprio posto, fuori dal cerchio
2. Entrare nel cerchio. I due Lupetti tra cui il bracconiere è entrato alzeranno il braccio per indicare il "buco"
3. Prendere la lepre
4. Uscire dal cerchio, passando per il "buco" dal quale era entrato
5. Tornare al proprio posto
Il guardiacaccia, che è un Lupetto del cerchio ignoto al bracconiere, lo deve cogliere in flagrante: questo significa che il guardiacaccia potrà uscire dal proprio posto solo quando il bracconiere avrà messo le mani sulla lepre. E' proprio a questo punto che scatta l'inseguimento: il guardiacaccia deve toccare il bracconiere prima che questi ritorni a posto.
In ogni caso il guardiacaccia non può entrare nel cerchio: deve quindi inseguire il bracconiere al di fuori di esso.
Il segugio e il cacciatore
Gioco per Lupetti
Lupetti in cerchio. La lepre scappa, il segugio la deve catturare (toccare). Però mentre la lepre può fare un percorso qualsiasi, entrando ed uscendo dal cerchio, il segugio deve seguire esattamente il percorso della lepre.
Al fischio il segugio e la lepre si invertono istantaneamente le parti (il nuovo segugio, l'ex-lepre, dovrà seguire solo il percorso della nuova lepre, l'ex-segugio).
Sardine
E' uguale a nascondino solo che avviene il contrario. Un bambino si nasconde e tutti lo cercano, chi lo trova si nasconde insieme a lui (nello stesso posto). Il gioco finisce quando rimane solo un bambino in giro che non ha trovato gli altri.
L'allegra fattoria
N. di giocatori: da 10 a 999
Durata media: 10 minuti
Tipo: scherzo;
Ci troviamo nell'allegra fattoria dove ci sono tanti animletti in cerchi...
ognuno di noi è un animaletto e ognuno serve a "sostenere" l'altro.
L'animatore sussurra nell'orecchio di ciascun ragazzo il propio animale(che
deve essere segreto)facendo credere che ci sono 2 o 3 galline, 2 pecore, 2
miali, 1 cavallo ecc ecc e invece dovrà assegnare 2 o 3 galline, 1 cavallo, 2
maiali e tutte le altre pecore. L'animatore, stabiliti gli animaletti per tutti,
deve far fare un cerchio tenuto "sottobraccio" in modo da essere molto legati
e quando chiama le galline, le galline alzano i piedi e fanno il verso, e gli
altri devono sostenerli con la forza, poi chiama i maiali e poi il cavallo...
quando chiama le pecore cadono tutti a terra come...sacchi di patate.
Vince chi... perdono tutte le pecore.
Naufraghi 1
Durata media: 20 minuti
Gioco da giocare... all'aperto e al chiuso
Un gruppo di naufraghi vega nel mare sopra alcune zattere, il soffio del
vento ne ruba una alla volta!!!
Ogni giocatore è seduto su una zattera (foglio di giornale). Quando parte la
musica i giocatori devono correre nel mare (campo da gioco), allo stop i giocatori
devono rifugiarsi su una zattera. L'animatore (il vento) ruberà ogni
volta una zattera: IL naufrago che rimane senza zattera viene eliminato.
Vince chi... rimane per ultimo nel mare.
Materiale necessario: fogli di giornale, registratore
L'INVASIONE DEGLI UOMONI-MOSCA (grande gioco)
materiale: fetucciato
bende per coprirsi gli occhi
palline di giornale/scotch
ciappetti
vite
A causa di un esperimento genetico una serie di uomini hanno subito una metamorfosi trasformandosi in uominimosca.
Lancio: ragazzi (tranne chi deve spiegare il gioco) si mettono in riga, davanti
al quadrato, strofinando le mani come sono solite fare le mosche. Questo per un minuto, in silenzio totale. Poi, a un segnale convenuto, tutti gli uomini-mosca "esplodono" nelle varie direzioni, emettendo un ronzio: bzzzzzz...
Rimane solo chi deve spiegare il gioco. A causa di un esperimento genetico, c'è stata una invasione di uomini-mosca.
Un solo animale può sconfiggerli: sono gli uomini-ragno. Perciò è necessario scegliere, nel gruppo, i migliori uominiragno per poter svolgere una missione tanto delicata.
Spiegazione:A tal fine il Gruppo si divide in due squadre. Gli aspiranti uomini-ragno di ciascuna squadra devono passare un periodo
di allenamento, per diventare uomini-ragno a tutti gli effetti, pronti e attivi:
Devono imparare a spostarsi lungo i fili di una ragnatela.
1 PROVA: Per far ciò dovranno compiere un percorso (magari piuttosto impervio) predisposto, lungo o accanto un nastro bianco-rosso. Questo dividendosi in coppie: una persona, bendata,
deve camminare; l'altra, a cavalcioni sulla prima, la deve dirigere.
2 PROVA:Devono imparare ad acchiappare le mosche al volo. A tal fine la squadra si dividerà in due gruppi, a debita distanza,
muniti di un certo numero di pallette di scotch da pacchi/ giornale. Devono tirarsi le pallette tra i gruppi, prenderle al volo e consegnarle (magari metterle in un recipiente). Le palline che non riusciranno a prendere al volo potranno raccoglierle e ritirarle. Alla fine del tempo a disposizione si conterà quante pallette sono state prese al volo.
A seconda del modo in cui ogni prova è stata passata, si consegnerà alla squadra un certo numero di vite. Quindi ciascuna squadra farà l'altra
prova (entrambe devono avere la stessa durata!) Al termine di questa fase "preliminare" avviene la battaglia vera e propria. BATTAGLIA:Ogni squadra si divide in gruppi da cinque persone: gli uomini-ragno. Ogni ragno è formato da un corpo centrale, a cui sono legate per mezzo di un cordino
quattro zampe. Inoltre ogni squadra avrà una base, in cui si trovano tutte le vite conquistate. Il campo da gioco
(ovvero la distanza tra le basi) dovrebbe essere piuttosto grande;
Scopo del gioco è quello di conquistare le vite degli avversari, prelevandone una alla volta dalla base avversaria per poi portarne, sempre una per una, nella propria. Se la zampa di un ragno riesce a inciappettare la testa del corpo centrale di un ragno dell'altra squadra, quest'ultimo è costretto a cedere la vita che sta portando; solo se la possiede con sé.
Al termine del gioco si contano le vite.